NUMERO DI AVVOCATI ED ANDAMENTO DEI LORO REDDITI

7 Gennaio, 2017 | Autore : |

Una delle problematiche riguardanti l’inferenza è che si tratta di processi in cui è difficile far comprendere le differenze che passano tra qualità e quantità, nonché tra cause ed effetti. In relazione all’articolo che Nuova Avvocatura Democratica ha pubblicato stamane, riguardante il numero degli avvocati in Italia ed in Europa, di cui riporto il link per completezza espositiva

 

 

RAPPORTO CEPEJ 2016: I NUMERI DELL’INSOSTENIBILITA’

 

 

 

occorre fare ovviamente valutazioni qualitative, che si possano accostare a quelle quantitative. Nessuno infatti può negare che ogni sistema economico, che faccia riferimento a prestazioni offerte in regime di mercato, possa trovare diversi punti di equilibrio, in ragione di tutti i fattori che sono presenti all’interno del sistema. Ciò che è necessario comprendere è cosa possa portare ad un certo equilibrio e con quali effetti sul sistema, in quanto tempo e in che modo. Una volta analizzati i fattori e le variabili che portano un sistema all’equilibrio, sarà possibile valutare cosa fare, con quale obiettivo temporale, per ottenere cosa.

 

La restrizione ai nuovi accessi alla professione forense agisce in modo quantitativo, riducendo l’offerta di avvocati. Questo genera, in modo indipendente da altre variabili, un diverso rapporto tra domanda ed offerta, che si equilibra su un valore reddituale pro capite disponibile per ciascun avvocato che è più alto. E’ quanto abbiamo esposto nell’articolo linkato in alto, senza considerazioni squisitamente opinabili, ma confrontando numeri e redditi.

In altri termini, al netto delle difficoltà nel comprendere cosa sia l’inferenza, meno avvocati vogliono sicuramente dire maggiori possibilità reddituali, a parità di altri fattori, nel caso vi siano più avvocati. E’ un concetto semplice, eppure c’è chi si ostina a fare strane congetture sul modus di esercizio della professione, che non ha nulla a che vedere con la oggettiva ed immediata validità di questo concetto di equilibrio.

 

Il dato non è provocatorio, ma mira a far comprendere all’avvocato della strada ciò che molti, ottenebrati dalla crisi e dalla distanza da questi temi, si rifiutano di capire: il mutamento delle modalità di esercizio della professione, per cercare un nuovo equilibrio di mercato, compatibile con maggiori redditi degli avvocati proletarizzati, è una variabile qualitativa indipendente dalla validità di una misura che limiti i nuovi accessi alla professione forense, in ragione di valutazioni sulla sostenibilità del sistema.

 

In un articolo pubblicato di recente, in cui mi preoccupavo di chiarire alcuni elementi abbastanza notori, per chi si occupa di capitalismo cognitivo, cercavo di spiegare agli avvocati italiani il concetto di concorrenza distruttiva.

In pratica, quando i fattori di equilibrio del mercato comportano l’impossibilità di sopravvivenza del mercato stesso, il punto raggiunto, che è comunque frutto delle logiche di scambio, pur perfettamente stabile, non è socialmente accettabile.

 

 

Avvocati in concorrenza distruttiva

 

 

Anche questo concetto sembra però sfuggire a molti, troppi avvocati, i quali pensano che il numero degli avvocati italiani sia un fattore eticamente orientato e dimenticano, in modo francamente sconcertante, il benessere e la sostenibilità reddituale che quegli avvocati riescono a vivere. Anche questo dato è frutto di una percezione distorta dei fenomeni politici, figlia sicuramente dell’assenza di preparazione della classe forense italiana, ma comunque grave ed ingiustificabile per chi ambisce ad avere un ruolo dirigente, all’interno della categoria forense.

 

Per comprendere meglio quali sono le inferenze tra numero di avvocati e reddito degli stessi, e poter dunque fare valutazioni eticamente sensate, sul concetto di sostenibilità ed equilibrio di sistema, nel 2015 pubblicavo una breve analisi che metteva in correlazione l’andamento del numero degli avvocati in Italia, fin dal 1985, con quello dei redditi degli avvocati. Tale studio è stato da me ripreso nella campagna elettorale che mi ha portato all’elezione quale delegato al XXXIII Congresso Nazionale Forense, e rielaborato, come video, di cui di seguito pubblico il link:

 

 

 

 

Lo studio, che di seguito riporto anche in formato di testo, muoveva da un’analisi dell’andamento del numero e dei redditi degli avvocati, per giungere alla conclusione che l’aumento abnorme del numero di avvocati in Italia, dal 1985 al 2013, pari al 476,8%, a fronte di un aumento della popolazione, nello stesso periodo, del 5,9%, fosse il principale fattore quantitativo che contribuiva e contribuisce all’impoverimento dell’avvocatura italiana. Qualcuno può dunque dire che questo non sia di per sé un equilibrio? No di certo. Gli avvocati italiani continuano ad esistere, a premere all’ingresso della professione, perché privi di qualsiasi prospettiva successiva agli studi in giurisprudenza, e a fare la fame. L’equilibrio, dato dal “mantenimento” del numero, c’è: a farne le spese è solo la sopravvivenza di chi ancora mantiene uno status, ma di certo non ha prospettive di vita incoraggianti.

 

 

 

Numero di avvocati ed andamento dei redditi: prospettive nel medio termine.

 

Quando si parla delle prospettive dell’avvocatura, spesso si prescinde da analisi dei numeri, per affidarsi a  percezioni che non rappresentano la realtà. Gli avvocati si raccontano storie in cui i fatti diventano accessori e la mitologia la fa da padrona.

Ma cosa dicono i dati, quelli veri, quando li si analizza? Nel 2013 la Cassa forense ha diffuso un’analisi basata sui dati in suo possesso. Incrociando alcune informazioni con gli sviluppi attualmente in atto, è possibile tentare una proiezione per i prossimi anni. Partiamo dal numero di avvocati in Italia: in costante aumento sin dal 1985 e mai diminuito sin da allora:

 

E’ facile constatare che gli avvocati, a fronte di una popolazione aumentata del 5,9%, siano cresciuti del 476,8 %. Pure i redditi degli avvocati, nonostante questo andamento del rapporto con la popolazione residente, sono aumentati quasi costantemente, fino al 2007:

 

Dal 2008 al 2012, i redditi pro capite degli avvocati italiani hanno subito una contrazione complessiva dell’8,8 %. Se si prova a confrontare questo dato con quello che riguarda l’andamento del Prodotto Interno Lordo in termini reali, ci può notare che non vi è una correlazione evidente tra i due elementi:

 

Nel 2009, ad un drastico calo del PIL reale in Italia, principalmente dovuto al cattivo andamento delle nostre esportazioni, è corrisposto un pesante calo del reddito degli avvocati, segno che in quell’anno la crisi è stata particolarmente forte anche per i professionisti del settore. Al netto di questa correlazione, confrontando l’andamento dei redditi dei professionisti e del PIL nazionale, appare evidente che l’avvocatura vive un proprio ciclo economico, basato su fattori peculiari.

Quali possono essere dunque i fattori su cui basare le prospettive economiche dell’avvocatura italiana nei prossimi anni? Sicuramente l’andamento congiunturale e demografico giocheranno un ruolo importante, ma probabilmente molto dipenderà dall’impatto che la deflazione del contenzioso avrà sulla categoria.

Gli ultimi dati pubblicati dal Ministero della giustizia, a seguito del censimento operato nel 2014, evidenziano una riduzione degli affari pendenti nel settore civile, ma non indicano per quelli iscritti  una decisa diminuzione tendenziale. E’ comunque ipotizzabile che il trend degli affari iscritti sia destinato a diminuire nei prossimi anni, per effetto dei provvedimenti tesi a scoraggiare il ricorso alla lite da parte dei cittadini:

 

 

FLUSSI NAZIONALI DEI PROCEDIMENTI CIVILI NEGLI ANNI 2010, 2011, 2012.

 

 

 

 

 

 

Allo stesso modo, i flussi analizzati nel settore penale, sia per quanto riguarda i procedimenti riferiti a reati con autore noto, che a quelli iscritti contro ignoti, non hanno mostrato un andamento discendente:

 

 

FLUSSI NAZIONALI DEI PROCEDIMENTI PENALI NEGLI ANNI 2010, 2011, 2012:

 

 

 

 

CONCLUSIONI

Anche ad uno sguardo non approfondito, la crisi dei redditi dell’avvocatura italiana appare meno drammatica di quanto probabilmente percepita dalla categoria. La contrazione dei redditi professionali, che pure negli ultimi anni c’è stata, non è sicuramente avvenuta per effetto di un drastico calo delle attività contenziose. L’impatto dei provvedimenti tesi alla degiurisdizionalizzazione non può ancora essere valutato, occorreranno alcuni anni per poterne analizzare in concreto gli effetti.

L’aumento del numero di avvocati, che non ha conosciuto battute d’arresto negli ultimi 30 anni, unito alla volontà politica di operare una riduzione del contenzioso, non lascia sperare che nei prossimi anni il reddito medio della categoria sia destinato ad aumentare.

Andrebbero approntati studi interni all’avvocatura che individuino le aree di affari che producono maggiori introiti, effettuando sondaggi credibili tra gli avvocati e cercando di individuare possibili aree di sviluppo per attività alternative o complementari a quella contenziosa.

Uno dei fattori che fa ritenere la crisi dei redditi più invasiva di quanto invece appaia è sicuramente l’aumento degli oneri, sia economici che amministrativi, connessi all’esercizio della professione, che agisce in concerto con l’entrata in vigore del regolamento che prevede l’iscrizione ed il pagamento obbligatorio degli oneri previdenziali. Si tratta in ogni caso di elementi che dovranno essere valutati nei prossimi anni, facendo riferimento a disposizioni che derivano dalla legge professionale forense e dai regolamenti attuativi approvati a partire dal 2013, e quindi non ancora produttivi di variazioni osservabili.

La degiurisdizionalizzazione è un processo che appare ormai irreversibile, anche perché l’avvocatura italiana, che pure in buona parte contrasta questo fenomeno, non ha saputo porre in essere attività politiche idonee a limitarne lo sviluppo.

L’andamento della congiuntura economica, che pare volgere verso una ripresa della crescita all’interno del paese, costituisce sicuramente un elemento di speranza per gli operatori del settore, ma le variazioni previste dalle istituzioni nazionali ed internazionali non sembrano tali da incidere in modo apprezzabile sui redditi degli avvocati italiani, mentre i fattori che ne possono causare una ulteriore contrazione appaiono più legati all’evoluzione della giustizia ed all’organizzazione dell’offerta di servizi legali.

Lo scarto misurabile tra percezioni e numeri dovrebbe rappresentare un elemento critico per le rappresentanze istituzionali e politiche dell’avvocatura.

Sarebbe opportuno avere strutture riconoscibili ed affidabili in grado di offrire agli avvocati italiani una lettura aggiornata e credibile dell’andamento dei parametri che influenzano la vita professionale dei colleghi. Al momento una tale struttura manca, per via di una produzione frammentata e bulimica, operata sia dal Consiglio Nazionale Forense che dalle varie realtà, anche associative, presenti all’interno della categoria. Il risultato della mancanza di un centro unico di elaborazione dati è il proliferare di letture parziali ed apodittiche, che finiscono con il diventare un elemento credibile per molti, nonostante l’assenza di riferimenti certi e riconosciuti da tutti. In questo senso sarebbe interessante valutare lo scarto tra l’andamento dei redditi e degli affari contenziosi effettivamente misurato e quello percepito all’interno dell’avvocatura italiana.

Napoli, 11/06/2015                                            Avv. Salvatore Lucignano

 

 

 

L’analisi dei fenomeni osservati, mira a dimostrare che le inferenze che devono muovere gli studi sulla vicenda reddituale e professionale dell’avvocatura italiana non possono fare confusione tra fattori quantitativi e qualitativi. Se si persevera nel credere che un mutamento individuale o collettivo del modo di svolgere la professione possa bilanciare l’insostenibilità del sistema, per quanto attiene al raggiungimento di un equilibrio che si accompagni a condizioni reddituali gratificanti per gli avvocati italiani senza che diminuisca il loro numero, si continua ad errare non solo sul piano politico, ma prima ancora, su quello strettamente logico.

 

 

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