LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE PUO’ DIVENIRE SOSTITUTIVA?

27 Gennaio, 2017 | Autore : |

Relazione illustrata dall’Avv. Donatello Genovese, membro del direttivo nazionale di Nuova Avvocatura Democratica, in occasione del convegno organizzato dalla nostra associazione a Roma, in data 26 gennaio 2017

 

La previdenza complementare può divenire sostitutiva?

 

1 – Evoluzione socio-economica del sistema previdenziale.

Dal secondo dopoguerra, fino alla metà degli anni ’90, il sistema previdenziale pubblico italiano ha avuto le caratteristiche di un “sistema a ripartizione”, nel quale, cioè, i contributi previdenziali versati nell’anno solare di riferimento dai lavoratori attivi erano utilizzati per finanziare l’erogazione delle prestazioni previdenziali ai pensionati. Tale sistema, dunque, non puntava all’accumulazione di risorse finanziarie, ma alla mera gestione amministrativo/contabile delle risorse disponibili nel tempo e alla loro ripartizione, effettuata col “sistema retributivo”, ossia quel sistema in cui la prestazione pensionistica è calcolata in rapporto all’anzianità contributiva acquisita ed alla retribuzione percepita nell’ultimo periodo lavorativo (ovvero, nel caso del sistema previdenziale autonomo, al reddito percepito).

Dagli anni ’90 in poi il sistema pensionistico pubblico è andato in crisi, in considerazione: del progressivo aumento della durata della vita media (che ha determinato l’allungamento del periodo di pagamento delle pensioni); del rallentamento della crescita economica e della contrazione dell’occupazione (che hanno causato una progressiva riduzione dell’ammontare dei contributi necessari a pagare le pensioni). Tali fattori, in futuro, faranno sì che i nuovi trattamenti pensionistici siano più bassi rispetto all’ultimo reddito percepito. Tecnicamente parlando, il “tasso di sostituzione” (ossia il rapporto percentuale fra la prima annualità della pensione e l’ultimo reddito annuo immediatamente precedente il pensionamento) sarà sempre più basso.

Per reagire a tale prospettiva deficitaria, le riforme del sistema previdenziale degli anni 90 hanno determinato il passaggio dal “sistema retributivo” al “sistema contributivo”, ossia ad un sistema di calcolo della prestazione pensionistica basata sui contributi versati nel corso dell’intera vita lavorativa, rivalutati annualmente, parametrati all’età del soggetto al momento del pensionamento. Per ottenere il valore della prestazione pensionistica il montante (ossia l’ammontare totale dei contributi versati dall’aderente durante l’intera attività lavorativa) viene correlato, mediante coefficienti attuariali di trasformazione, alla speranza di vita del soggetto al momento del pensionamento.

Proprio per innalzare il tasso di sostituzione a livelli adeguati è nata la previdenza complementare, che è stata concepita per affiancare quella obbligatoria ed è basata sul “sistema a capitalizzazione”, nel quale, cioè, i contributi versati dai lavoratori attivi vengono accantonati in conti individuali e vengono gestiti secondo le tecniche dell’investimento finanziario, con la finalità di costituire un montante per la successiva erogazione della pensione.

 

 

2 – Le forme di previdenza complementare.

La normativa oggi vigente (D.Lgs. 5-12-2005 n. 252) prevede, a regime, tre forme di previdenza  complementare, ossia:

  1. I “fondi pensione chiusi o negoziali”: istituiti dai rappresentanti dei lavoratori subordinati e dei datori di lavoro nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale (non riguardano il mondo del lavoro autonomo);
  2. I “fondi pensione aperti”: forme pensionistiche complementari istituite da imprese di assicurazione, banche, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM), alle quali possono aderire sia i lavoratori autonomi, i liberi professionisti e i lavoratori subordinati;
  3. I “piani individuali pensionistici” (PIP): forme pensionistiche complementari basate su rapporti di tipo assicurativo, istituite dalle imprese di assicurazione.

I fondi pensione costituiscono patrimoni separati ed autonomi: devono essere contabilizzati separatamente e a valori correnti; non possono essere distratti dal fine al quale sono stati destinati; non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dei soggetti gestori, né da parte dei creditori dei lavoratori (durante la fase di accumulo), né possono essere coinvolti nelle procedure concorsuali che riguardano il gestore. Ovviamente nei confronti dei fondi pensione possono essere fatte valere le pretese dei soggetti aderenti e, una volta conseguite le prestazioni, anche da parte dei creditori dei beneficiari, nei limiti della pignorabilità delle prestazioni pensionistiche obbligatorie (un quinto).

Le forme pensionistiche complementari offrono diverse opzioni di investimento (o anche comparti), riconducibili alle seguenti categorie:

  • azionaria, se investono solo o principalmente in azioni;
  • obbligazionaria, se investono solo o principalmente in obbligazioni;
  • bilanciata, se investono in azioni e in obbligazioni tendenzialmente nella stessa percentuale;
  • garantita, se offrono la garanzia di un rendimento minimo o di restituzione del capitale versato al verificarsi di determinati eventi.

Le prestazioni della previdenza complementare vengono erogate al raggiungimento dell’età pensionabile prevista dal regime obbligatorio e possono consistere:

  • o in una rendita, determinata applicando al montante parametri attuariali variabili in funzione dell’età;
  • o in capitale, fino a un massimo del 50% del montante accumulato, e la restante parte in una rendita.

La rendita può essere reversibile in favore di altri soggetti.

In particolari situazioni (ad esempio, per motivi di salute o per l’acquisto della prima abitazione) è possibile ottenere un’anticipazione di quanto accantonato.

E’ prevista la possibilità del riscatto (ossia della restituzione del montante) in particolari ipotesi che comportino la definitiva cessazione dell’attività lavorativa per invalidità o disoccupazione. In caso di morte dell’aderente l’intera posizione individuale può essere riscattata dagli eredi.

Dopo due anni di adesione è possibile chiedere, per qualsiasi motivo, il trasferimento della posizione maturata presso un’altra forma pensionistica complementare. Trattasi di un diritto potestativo dell’aderente. Il trasferimento  consente di proseguire il percorso previdenziale senza soluzioni di continuità, nel senso che l’anzianità maturata nel sistema della previdenza complementare ha inizio dal momento della prima adesione.

3 – Regime fiscale agevolato.

La previdenza complementare è soggetta ad un regime fiscale favorevole:

  • La contribuzione è deducibile dal reddito complessivo fino al limite di 5.164,57 euro all’anno (ossia di dieci milioni delle vecchie lire);
  • I rendimenti sono tassati al 20% (rispetto al 26% che si applica alla maggior parte delle forme di risparmio finanziario). La tassazione dei redditi di alcuni titoli detenuti dalle forme pensionistiche complementari, come ad esempio i titoli di Stato, è comunque fissata al 12,5%;
  • La rendita (trattandosi di reddito) è soggetta ad un’aliquota che si riduce in funzione del crescere degli anni di partecipazione alla previdenza complementare (dal 15% fino al minimo del 9%). Viene tassata soltanto la quota-parte corrispondente ai contributi dedotti durante la fase di accumulo, dato che il rendimento è già tassato tempo per tempo.

 

 

4 – Proposte di Nuova Avvocatura Democratica.

La previdenza complementare offre una serie indubbia di vantaggi rispetto a quella obbligatoria, quali:

  • la libertà quantitativa di contribuzione;
  • la possibilità di ottenere un buon rendimento grazie all’investimento dei contributi nel mercato finanziario;
  • un considerevole risparmio fiscale;
  • la possibilità di ottenere anticipazioni;
  • la riscattabilità del montante;
  • l’eventuale reversibilità del trattamento pensionistico;
  • la trasferibilità dei contributi da un fondo all’altro.

Tali caratteristiche stanno determinando un notevole successo della previdenza complementare. Secondo l’ultima relazione della COVIP (Commissione di vigilanza sulla previdenza complementare) alla fine del 2015 gli iscritti alla previdenza complementare (sia lavoratori subordinati che autonomi) superavano i sette milioni.

La previdenza complementare, a nostro avviso, ben può sostituire quella assicurata dalla Cassa Forense, diventando una “previdenza sostitutiva”, a condizione che essa venga maggiormente incentivata.

Anzitutto appare necessario che il limite di deducibilità fiscale dei contributi venga innalzato rispetto alla soglia di dieci milioni di vecchie lire introdotta circa venti anni or sono. Trattasi di una soglia mai aggiornata, neppure in rapporto all’inflazione monetaria, ed è diventata ormai anacronistica a seguito dell’introduzione dell’euro. Nuova Avvocatura Democratica ritiene che sarebbe opportuno innalzare il tetto di deducibilità fiscale a diecimila euro.

E’ necessario, poi, consentire una certa flessibilità in ordine all’età di pensionamento, sganciandola da quella prevista per la previdenza obbligatoria, in modo da consentire, a scelta dell’aderente, l’uscita dal mondo del lavoro in anticipo rispetto all’età tabellare, sia pure a condizioni meno favorevoli.

Andrebbe poi chiarito il regime delle controversie in materia di previdenza complementare, affidandole in ogni caso al giudice del lavoro e della previdenza, che garantisce tempi di risoluzione delle vertenze più rapidi rispetto al tribunale civile ed è tecnicamente più idoneo ad occuparsi della materia previdenziale.

Infine sarebbe opportuno prevedere forme di previdenza sostituiva anche per coprire l’inabilità e gli infortuni.

 

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