Il pensiero debole è diventato l’elemento che domina le culture sociali di mezzo mondo. La decadenza dell’occidente è stata resa possibile dall’imperversare del pensiero debole.
L’analisi della mediocrazia, attraverso i teoremi della selezione inversa, non deve servire ad osservare l’esistente, poiché anche la narrazione dell’inefficienza rappresenta una degenerazione dell’agire sociale, figlia del pensiero debole. Al contrario, interiorizzare i meccanismi della selezione inversa serve solo a condizione che l’azione segua all’osservazione.
La massificazione dell’idea pratica ha coinciso con la sua banalizzazione. Attraverso la parificazione bulimica delle idee, la selezione inversa ha costruito veri che non hanno nulla di vero, protagonisti senza qualità, raggruppamenti e cordate non sorrette da logica politica.
E’ il trionfo della mediocrità, sempre possibile solo quando la selezione inversa non abbia di fronte gli antidoti realizzati dal pensiero critico.
L’indebolimento del pensiero politico rappresenta dunque uno dei capisaldi della selezione inversa. Si rinuncia ad avere una visione organica e complessiva dei fenomeni, al solo scopo di costruire scenari adatti al mercato della teoria dei veri. I destinatari del vero così realizzato non si pongono il problema tra la verosimiglianza della rappresentazione e la sua verifica, perché non sono abituati ad agire secondo le prescrizioni introdotte dal pensiero critico.
Il mediocre a quel punto può dire qualunque cosa: nessuno contrasterà ciò che non può essere compreso.
I meccanismi della mediocrazia, o selezione inversa, necessitano di ambienti particolarmente favorevoli, si sviluppano meglio dove manca la ragione critica.
Il fenomeno dell’istituzionalizzazione esprime massimamente questa predisposizione ambientale a sostenere ed aiutare l’espansione della specie istituzionalizzata.
La caratteristica fondamentale dell’istituzionalizzazione è la credenza diffusa che il bene sia reale e che ciò che è reale sia il bene. Può apparire strano che uno dei precetti dell’hegelismo ortodosso sia alla base della fenomenologia che più esalta il trionfo dell’uomo senza qualità, eppure è così. L’istituzionalizzato crede che ciò che comanda sia buono, perché non ritiene se stesso abbastanza evoluto, sotto l’aspetto cognitivo, per poter efficacemente contrapporre alla realtà una diversa e funzionale organizzazione dell’esistente.
La sottomissione dell’individuo asservito all’istituzionalizzazione è dunque fondata sulla scelta, rituale ed istintiva, di quello che appare meno destabilizzante per il pensiero. Cambiare impone in automatico uno sforzo, dapprima di immaginazione, poi di elaborazione. Chi si affida al reale non ha questo problema: egli vede ciò che esiste e lo eleva al rango di indubitabile, ma non perché ne comprenda il valore, bensì perché non ha strumenti cognitivi per immaginare e dettagliare il diverso.
La selezione inversa poggia dunque sulla pigrizia ancestrale dell’individuo mediocre, per il quale la conservazione statica della realtà è strategia dominante di approccio con la stessa.
L’istituzionalizzato dominante utilizza l’avversione del dominato al cambiamento consapevole, proponendo un racconto distorto delle dinamiche alla base dei fatti politici e sociali. L’esempio più evidente di questa possibilità è nella soppressione del rendiconto.
L’istituzionalizzato non narra ciò che ha fatto, perché al dominato non sia chiaro ciò che egli non ha fatto. L’istituzionalizzato cancella il passato, per portare il dominato nel futuro. Il regno del certo e del verificabile è messo da parte, in favore della narrazione della possibilità.
Lo studio del presente articolo darà diritto a due crediti formativi in storia
Avv. Salvatore Lucignano