Terremoti, normative antisismiche e grida manzoniane

30 Agosto, 2016 | Autore : | Tags: ,  

L’Italia è un paese ad alto rischio sismico. E’ risaputo. Poi c’è la risposta statale agli episodi naturali in tema di movimenti tellurici. L’Avv. Salvatore Lucignano risponde, con consuetudine, ai quesiti relativi a tale rapporto.

Caro Salvatore, i nostri confronti muovono a volte dall’analisi di eventi contingenti. Siamo a pochi giorni dal devastante terremoto che ha colpito il centro Italia. Passato il primo momento, di dolore e silenzio, cominciano le riflessioni sui crolli di edifici pubblici e proprio rispetto a questo voglio sottoporti un aspetto che mi ha colpito molto, sul piano giuridico: l’Italia è un paese in cui la normativa antisismica esiste da tempo, ma viene sistematicamente ignorata, in primo luogo dallo Stato. Cosa ne pensi? 

Caro Giulio, hai centrato perfettamente il punto, esprimendo con parole tue il concetto di “effettività” della norma. All’università ci insegnavano che uno Stato che voglia dirsi credibile deve adottare norme che siano effettivamente rispettate, da tutti ed in ogni circostanza. Norme che rispecchino il sentire dominante di una comunità, e che l’autorità costituita sia in grado di far valere sempre. Quando questo non avviene, come nel caso che hai citato, la norma perde il suo valore etico e giuridico, la legge diventa arbitrio, la punizione della violazione non è più giustizia, ma diviene vendetta.

Cosa si può fare per contrastare questo stato di cose?

In primo luogo, affrontare il problema intimamente connesso alla mancanza di effettività delle leggi, che è quello della bulimia normativa. E’ un dramma giuridico che l’Italia dovrebbe risolvere, accordando alla semplificazione normativa la massima priorità, ma che non viene minimamente sfiorato dai governi di turno, nonostante se ne parli da tempo immemore. Una pletora di leggi, leggine, uno tsunami di “novità”, che portano al degrado delle norme. L’abuso dello strumento normativo infatti, ne svilisce la portata. Ciò che viene minato dal costante diluvio di regole emanate dallo Stato è proprio la capacità che esse siano rispettate dai cittadini, perché l’enormità del corpus normativo lo rende di per sé poco credibile.

Chiarissimo. Voglio però fare un passo indietro, tornando all’effettività, da te citata. Hai parlato di uno Stato che, in assenza di effettività delle norme, non è più in grado di punire con giustizia, trasformando la punizione in vendetta. Vuoi chiarire ai nostri lettori cosa intendi?

Con piacere, e lo faccio proprio ricorrendo a quanto sta avvenendo in queste ore, in relazione al terribile sisma che ha funestato il nostro paese. Tutti noi ci siamo indignati nel vedere una scuola pubblica di Amatrice, che nel 2012 aveva visto la fine di lavori che la dichiaravano “antisismica”, sbriciolarsi sotto la forza del terremoto. La magistratura ha immediatamente annunciato indagini e i cittadini fanno un ragionamento che a mio parere è banale e corretto: se quella scuola è crollata, non era antisismica e pertanto chi ha assicurato che lo fosse dovrà pagare. Si tratta di pensieri ineccepibili, se teniamo la nostra attenzione rivolta solo alla scuola di Amatrice, ma cosa penserebbero i cittadini se gli si dicesse che in Italia sono oltre 500 gli ospedali pubblici per cui è certificata l’inidoneità alle norme antisismiche?

Beh, probabilmente dovremmo interrogarci sulle responsabilità di questa pericolosa situazione, giusto?

Appunto. Lo Stato italiano perseguirà coloro che hanno causato il crollo di una scuola che non doveva cedere, ma accoglie i cittadini in ospedali pericolanti, che in caso di terremoto potrebbero trasformarsi in luoghi di morte, da luoghi di cura che dovrebbero essere. Quale credibilità ha dunque la pena inflitta per il crollo della scuola, se essa è solo il frutto della fatalità, che ha colpito Amatrice e non il Comune tal dei tali, in un’altra parte del paese? A mio parere nessuna. L’autorità si limita a punire in base a ciò che accade, e così facendo non è punita la violazione della norma, ma gli effetti casuali che derivano dalla sua violazione. Questa non è giustizia, non ha niente di giusto, questa finisce con il diventare una vendetta contro la casuale crudeltà della morte. Un paese che voglia dirsi serio e credibile non può e non deve agire in questo modo.

Quanto affermi porta però ad un’altra riflessione e ad una domanda che ne deriva, in modo quasi inevitabile: la magistratura apre indagini a fronte di notizie di reato, quindi, nel caso di Amatrice, l’inchiesta annunciata appare un atto dovuto, ne convieni? 

Quindi dovremmo ritenere “atti dovuti” anche le indagini sui 500 ospedali, sulle migliaia di scuole, di tribunali, di prefetture, realizzati dopo l’entrata in vigore delle norme antisismiche, che non risultano costruiti o adeguati alla normativa? In realtà tu esprimi un altro elemento del problema: l’obbligatorietà dell’azione penale da parte della magistratura è ormai un mito a cui nessuno crede più. Tutti sappiamo che i magistrati sono costretti a “chiudere un occhio” su notizie di reato che non rivestono particolare gravità per il sentire della comunità, o che riguardano situazioni talmente diffuse da trasformare la singola azione di repressione in una negazione dell’uniformità di applicazione delle norme di legge. Questo non fa che aggiungere la farsa al dramma. Non possiamo più permetterci di avere un regime normativo che sulla carta è inflessibile, ma nei fatti è applicato con ampia discrezionalità. Lo Stato che tollera questa situazione non è credibile ed i cittadini perdono fiducia in esso.

Non credi che il rischio di un atteggiamento più “morbido” da parte dello Stato si possa concretizzare nell’aumento dei comportamenti illeciti da parte della cittadinanza?

Non vedo come ciò sia possibile. L’Italia è un paese in cui i comportamenti illeciti della società sono percepiti come un elemento quasi endemico da parte dei cittadini. La corruzione, pubblica e privata, è una compagna quasi fisiologica della vita degli italiani. Le statistiche internazionali indicano che siamo uno dei paesi più corrotti al mondo e la criminalità organizzata italiana è tra le più radicate ed infiltrate nella macchina pubblica. Tutto questo dimostra che avere un numero abnorme di leggi ed un obbligo di perseguimento generalizzato dei reati non hanno minimamente aumentato la legalità. Dobbiamo avere il coraggio di cambiare, perché la situazione attuale è insostenibile.

Dunque tu proponi meno leggi e discrezionalità nell’agire della magistratura inquirente?

Assolutamente si. E’ in atto da tempo, perlomeno tra giuristi di un certo spessore, una riflessione che mira alla commistione tra istituti di ordinamenti di common law, di stampo anglosassone, e di civil law, di cui l’Italia è una delle massime espressioni. Ritengo che lo Stato italiano dovrebbe approfondire l’indagine sui possibili effetti positivi di questa commistione, abbandonando la norma scritta come elemento onnipresente nella vita dei cittadini, affidandosi maggiormente alla dialettica tra avvocatura e magistratura, ritrovando la fiducia verso i giureconsulti, come artefici di un diritto fatto di punti di equilibrio mobili, capaci di evolversi con velocità ed effettività verso le esigenze ed il sentire della comunità. Se volessimo racchiudere il tutto in una frase, direi che abbiamo bisogno di meno regole e di più diritto.

Perché ciò accada ci sarebbe però bisogno di una riqualificazione e di una riconversione, anche in termini di mentalità, degli operatori del settore giustizia. Credi che un processo di tale ampiezza sia effettivamente alla nostra portata?

Credo fermamente che il ruolo di un giurista e di un politico non possa limitarsi all’osservazione ed all’accettazione dell’esistente, ma che la creazione di un futuro migliore, anche se radicalmente diverso dal presente, vada sempre ricercata con ostinazione e coraggio. Ciò che fa grande un paese è la capacità di adeguarsi ai cambiamenti, di governarli, anticipandoli e costruendo gli elementi utili a non subirli. In Italia il settore giustizia, e lo dimostrano le problematiche che abbiamo brevemente accennato in questo nostro confronto, si regge su schemi del tutto inadeguati allo scopo. Noi non abbiamo bisogno di continuare  a sfornare leggi, regolamenti, direttive ministeriali, al ritmo di una al giorno. Quello che ci serve è un corpus normativo snello e flessibile, vivificato e costantemente adeguato dall’opera creatrice dei giuristi.

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