IL TEMPO E LE DISTANZE

27 Agosto, 2017 | Autore : |

 

I processi che sta vivendo l’avvocatura di massa sono stati al centro delle mie riflessioni pubbliche per quasi quattro anni. La storia politica della nostra categoria è un importante metro di giudizio, capace di impedire il trionfo della mediocrità istituzionalizzata. Ecco perché ho sempre insistito per la nascita di un archivio politico dell’avvocatura italiana, che possa fungere da guida nel racconto dei fatti che stiamo vivendo. La ragione di questa necessità consiste anche nella pochezza della cronaca. L’oscurità e l’incapacità che avvolge la Cosa Nostra istituzionalizzata è ormai talmente evidente da costituire l’antidoto a qualsiasi denuncia. In altri termini, quasi come in un processo di immunizzazione, l’inettitudine dei padrini dell’avvocatura italiana riesce ad evitare di generare reazioni nei sottomessi, perché viene vissuta come un elemento endemico, un fatto contro cui non si deve fare nulla. L’inettitudine degli istituzionalizzati è divenuto così uno sfondo, la parete di un paesaggio, la fotografia di un dramma incamerato nella normalità della nostra vita professionale.

 

 

L’unità dell’avvocatura è ormai ritenuta da molti una sorta di giocattolo a molla, una locuzione da utilizzare per scherzo, o peggio, per scherno, verso chi continua a credere che l’unico modo di dare peso politico agli avvocati italiani sia quello di donargli una rappresentanza finalmente degna, unitaria e plurale, democratica ed inclusiva, tale da non generare il disprezzo ed il sarcasmo presso le istituzioni repubblicane, come avviene invece in questi anni. Gli avvocati devono rendersi conto che occorre costruire finalmente l’avvocatura, liberarsi dall’idea che la gestione dei piccoli feudi che oggi compongono la Cosa Nostra istituzionalizzata sia l’obiettivo in grado di cambiare le proprie sorti. Gli avvocati devono cominciare a comprendere che senza una coscienza politica individuale, non esisterà la possibilità di una rinascita collettiva, che finalmente restituisca all’avvocatura italiana un ruolo prestigioso e decisivo, per le dinamiche che guidano il futuro della nostra società.

 

Certo, le contraddizioni di una categoria massificata e squalificata, che vede ampie frange al proprio interno colluse con il potere della mediocrazia istituzionalizzata, sono difficilissime da contrastare. Costruire una coscienza nazionale è impresa improba, perché necessita di rifondare, a partire da un luogo e da un punto, per poi diffondere altrove, laddove il concetto stesso di colleganza ed interdipendenza viene misconosciuto da gran parte degli indigeni delle singole monadi che compongono il nostro non tessuto politico e culturale.

 

Unire le avvocature, far comprendere ai colleghi più avanzati in termini di coscienza politica, che occorre discutere e realizzare strutture e processi in grado di incidere a livelli più alti: questo è il compito di chi vuole pensare alla classe. Un compito che dunque prescinde totalmente dall’occupazione del posticino all’interno di questo sistema, ma che necessita di una costante, tenace e paziente opera di creazione, capace di plasmare dalle macerie un soggetto collettivo nuovo e vivo.

 

 

Non è facile e non è un processo che possa svolgersi in poco tempo. Al contrario, le resistenze della Cupola sono talmente connaturate alla sua essenza, da potersi permettere di estromettere alcuni dei protagonisti di questo possibile sovvertimento dell’esistente. E’ questa la ragione per cui ho cominciato a familiarizzare con l’idea della mia radiazione dall’albo degli avvocati italiani. Paradossalmente ritengo che l’appartenenza all’avvocatura sia oggi un fattore che genera potenziali ricatti da parte della Cosa Nostra forense, per cui un esempio di estraneità alla categoria, per ragioni di opposizione alla mafia che la comanda, possa agire con maggiori possibilità di quante ne dia l’inclusione e la normalizzazione ottenuta per mezzo dell’elezione, sic et simpliciter, in uno dei luoghi di gestione del disastro.

 

 

Per gli avvocati italiani il tempo sembra essere inesorabilmente scandito dai fallimenti. Manca del tutto un centro unificante che governi le cose dell’avvocatura con un rapporto di rappresentatività efficace rispetto alla base degli iscritti. L’azione della Cosa Nostra che comanda la massa è talmente slegata dal volgo, da poter contare su un’indifferenza diffusa, che spesso, in troppi Fori italiani, tiene i colleghi distanti dalla politica forense, con effetti disastrosi sulle possibilità di cambiamento della situazione.

 

 

NAD in questo senso rappresenta una fondamentale anomalia di sistema. La nostra presenza, a Napoli e nei Fori in cui siamo riusciti a creare le nostre strutture, alimenta una dialettica che scuote moltissimi colleghi dal torpore, spingendoli a prendere posizione, con noi o contro di noi. La radicalizzazione dello scontro contro la Cupola consente di recuperare energie e personalità al dibattito politico forense, riducendo drasticamente l’area del non voto qualunquista. Il primo elemento che dunque misura il nostro successo politico è il ritorno degli avvocati all’interesse verso ciò che facciamo accadere. Se riusciremo a ridurre al minimo il disinteresse, se riusciremo a portare alle urne le masse che fino ad oggi non hanno voluto prendere posizione, le speranze di un nuovo corso, che da Napoli può affermarsi in tutta Italia, saranno meno astratte, più concrete, più vicine e possibili.

 

 

Na(D)oli può e deve essere il motore del cambiamento dell’avvocatura italiana. NAD ci sta provando ed in parte ci sta riuscendo. Non possiamo attenderci che la rivoluzione che stiamo portando avanti abbia molti altri focolai nel paese, ma avremo il compito di unire tutti quelli che riusciremo ad accendere.

Per riuscirci dovremo essere diversi, muoverci in modo totalmente distinto da chi ci ha preceduto, superare la normalizzazione e l’istituzionalizzazione, come fattori dominanti dell’agire politico che oggi domina la scena.

NAD deve partire dal suo essere comunità, trasformare tale comunità in avvocatura. E’ questa la nostra missione e ci vorranno anni perché si possa realizzare. Sta a noi avere chiara la portata temporale del progetto che abbiamo messo in piedi e non deviare dagli obiettivi di lungo periodo, perché solo se saremo generosi e pazienti non tradiremo ciò per cui in questi anni abbiamo combattuto.

 

Il presente articolo darà diritto ad un credito in materia deontologica.

Avv. Salvatore Lucignano

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