L’ETERNO FRONTE DELL’AVVOCATO QUALUNQUE

19 Gennaio, 2018 | Autore : |

Cetto Laqualunque riprende un tema poco conosciuto dai giovani e dai meno giovani, ma non per questo ignoto ai saggi. I colleghi che ci seguono sanno che spesso mi occupo di politica, cercando di uscire fuori dalla visione utilitaristica e contingente della politica forense. Nel Foro di Napoli il dibattito politico forense è ormai molto acceso. Manifesti, volantini, schieramenti… c’è un’aspra battaglia politica, che si riflette nel gran numero di soggetti che si contendono il governo dell’avvocatura partenopea. E’ uno scenario probabilmente unico, all’interno dell’avvocatura italiana, ma non è causale. Dipende in buona parte da me ed in buona parte da NAD.

La premessa potrebbe apparire inutile, ma non lo è. In ogni epoca, con spiccata tendenza a quelle di crisi, il fronte dell’uomo qualunque ha cercato di prendere il potere, contrapponendo il quisque de populo al potere. La politica, come azione costante, patrimonio culturale, impegno quotidiano, non viene vituperata solo oggi, ma lo è sempre stata. Fin dalla notte dei tempi gli esclusi, gli emarginati, gli arrivisti e gli uomini qualunque, hanno inneggiato all’irrilevanza della politica, alla sua natura maligna, contrapponendo al potere un generico anelito all’assenza di potere. Ciò ha generato fenomeni di antipolitica devastanti, niente affatto migliori della cattiva politica, ma ugualmente mefitici.

L’idea che per governare la realtà non si debbano possedere particolari doti politiche è demenziale, sul piano strettamente cognitivo, è ignorante, su quello culturale, è dannosa, su quello politico. Il fronte dell’uomo qualunque, che Guglielmo Giannini fondò come movimento nel 1944, è l’antesignano del qualunquismo all’italiana. Oggi gli italiani non sono meno qualunquisti di allora. Elemento caratterizzante del più becero qualunquismo è la lotta alla politica e al potere, intesa come distruzione di qualsiasi forma di politica e di potere.

Nei giorni scorsi ho spiegato ai colleghi che ciò che manca all’avvocatura non è l’uscita dalla politica forense, ma la sua nascita, intesa come formazione di una coscienza che faccia maturare sia gli elettori, sia i candidati alla rappresentanza. La corsa alla candidatura, l’idea che “chiunque” sia idoneo a governare, l’assenza di un percorso selettivo, l’esaltazione degli avvocati che consumano le suole delle scarpe, come potenziali rappresentanti, non è altro che masochismo, che la professione infligge a se stessa. Il declamato rifiuto del potere, condito da candidature volte alla conquista di quel potere, che a parole si detesta, completa il quadro grottesco, che offre uno spaccato di umanità reietta, in cui le spinte e le pulsioni più ottuse, non di rado mascherate da becero idealismo di facciata, impediscono, ovvero ostacolano, l’emersione di una classe dirigente che possa degnamente rappresentare gli avvocati italiani.

L’invocazione alla “società civile”, all’inadeguatezza politica, intesa come simbolo di purezza dell’anima, non è affatto un segno di moralità, ma spesso maschera il tentativo di riscatto dei malriusciti, degli arrivisti, degli uomini senza qualità, degli uomini qualunque. Per contrastare questa deriva gli avvocati devono maturare una coscienza politica, capire che la scelta dei propri rappresentanti va fatta ogni giorno, attraverso lo studio di quanto proposto e realizzato, attraverso una selezione che punti a valutare le capacità espressive, la cultura, la cultura politica, di chi si propone come rappresentante. L’idea che un politico non debba avere un curriculum politico è devastante, nella sua apparente forza catartica e liberatoria.

Agli avvocati non servono rappresentanti che siano uomini qualunque, ma serve la politica, la buona politica. Agli avvocati non servono parodie che cerchino di distruggere “il potere”, ma buoni colleghi, che usino il potere per il bene della categoria.

Penitenziagite. Downshifting is the way.

 

Avv. Salvatore Lucignano

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