La “Nuova Avvocatura Democratica” per un politica forense diversa

8 Ottobre, 2016 | Autore : | Tags: ,  

E’ di recente costituzione la “Nuova Avvocatura Democratica“, un’associazione di politica forense che mira a far cadere il potere costituito e a ripristinare l’ordine in una professione che da molti anni cerca la fine del tunnel.

L’Avv. Salvatore Lucignano, uno dei primi firmatari, si rilascia un’intervista strutturata, per comprendere meglio obiettivi, scopi e finalità.

Caro Salvatore, in questi giorni avete dato vita ad una nuova associazione di politica forense: quale sarà lo scopo primario di questo soggetto?

Con Nuova Avvocatura Democratica tenteremo di dare un governo unitario, democratico e fortemente rappresentativo all’avvocatura italiana. Siamo carichi di entusiasmo e speriamo di fare un buon lavoro.

La proliferazione di soggetti politici però è stato uno degli elementi di maggiore disgregazione della fase decadente che ha portato al declino della società italiana. Perché “un altro”?

Perché a volte, per agire in senso unitario, occorre costruire una parte in grado di amalgamare il tutto. Il riconoscimento di vincoli che devono unire le categorie, tenendo insieme anche i gruppi contrapposti, non può essere perseguito senza porsi proprio come uno di quei gruppi. Non può esistere intero senza che una parte sia forte abbastanza per realizzarlo.

Un ruolo di imposizione unitaria per un soggetto di parte. Sembra una contraddizione abbastanza stridente. Lo è davvero?

Nel corso dei nostri confronti abbiamo già toccato l’elemento “contraddizione” come fondamento strutturale della contemporaneità. Per quanto la teorizzazione di una sua intrinseca funzionalità agli scopi di un agire positivo sia ancora molto labile e poco chiara al grande pubblico, sono certo che gran parte dell’operato politico contemporaneo e futuro dovrà essere rivolto proprio ad esaltare il ruolo delle contraddizioni. Ovviamente per farlo servirà una nuova logica, che in parte stiamo già vedendo all’opera, anche se pochi si preoccupano di codificarla.

A cosa ti riferisci?

Al caotico magma della bulimia socialica. La società italiana vive da quasi trent’anni in regime di crescita zero, al netto di oscillazioni attorno al punto. Siamo entrati in un’epoca in cui la ricchezza appare quasi una inspiegabile magia, piuttosto che l’esito di un percorso razionale. La finestra produttiva degli individui, sul piano temporale, si accorcia sempre di più, a dispetto di una vita lavorativa più lunga. Siamo entrati nell’era in cui “prendi i soldi e scappa” è diventato la regola, perdendo ogni caratteristica grottesca e caricaturale. Tutto questo esalta le contraddizioni in cui siamo immersi, e la possibilità che ormai hanno in tanti, di divenire centro di espressione e di raccolta di opinione, amplifica a dismisura i processi di destrutturazione del senso statico dei valori.

Cosa c’entra tutto questo con le contraddizioni di cui dovrà occuparsi la politica?

C’entra moltissimo. La documentazione della bugia, elemento fondamentale e fisiologico della politica, sta stravolgendo il significato del termine “coerenza”. Lo hanno compreso persino gli italiani che in questi ultimi anni hanno fatto dell’ortodossia della non contraddizione un fucile puntato contro chiunque non si adeguasse, perché gli eventi dimostrano che nessuno, ma proprio nessuno, ne è immune.

So che non ami prendere posizioni in ambito partitico, ma non posso non pensare che tu ti stia rivolgendo all’evoluzione del Movimento 5 stelle. In questo senso mi ha molto colpito la vicenda che sta vivendo in queste settimane la sindaca Virginia Raggi. L’attenzione morbosa del giornalismo italiano verso di lei ha scatenato una reazione, che ha saputo essere anche ironica, con cui la Raggi sembra essere la prima a rifiutare il teorema secondo cui il giusto, per essere tale, debba essere “puro”. Ti riferisci anche a questo quando parli di nuovo senso della coerenza?

Certo. Quando la Raggi dice ai giornalisti accampati sotto casa sua: “cercate di vedere se mi metto le dita nel naso?”, esprime proprio questo sentimento. Roma è un caso emblematico di come la contraddizione si impossessi di tutto ciò che, in modo assai puerile, tenta di sfuggirle. Il tuo riferimento è quanto mai appropriato. La capacità di documentazione della contraddizione è giunta ad un così alto grado di invasività, nella vita di ciascuno di noi, da rendere risibile il tentativo di risolvere l’apparente contrasto sfuggendo ad esso. Noi siamo contraddizioni e contraddittori, e la politica contemporanea deve prendere atto di questa condizione. In caso contrario la politica muore e nascono le sette, a caccia degli impuri, e pronti ad abbatterli con qualsiasi mezzo.

Dunque Nuova Avvocatura Democratica inviterà ad una nuova declinazione della coerenza, che tenga conto della funzione necessaria della contraddizione?

Sicuramente. Non possiamo più frugare nelle falle dello Stato, pena la sua scomparsa. Non possiamo più seguire l’etica dell’individuale, perché questo ha portato ad uno svuotamento del valore della collettività. Non saremo una forza che vuole massimizzare l’utile dei suoi appartenenti, ma costruiremo una unità di pluralità, che ci consenta di raggiungere nuovi equilibri, capaci di limitare e non solo di accrescere i nostri vantaggi, ridefinendoli e riqualificandoli, allo stesso tempo.

Le organizzazioni politiche e i partiti vivono una crisi innegabile, non solo in Italia. Il sindacalismo arranca e le associazioni di categoria non sembrano capaci di incidere su processi che si decidono altrove. Cosa ti fa pensare che questo vostro cammino possa sortire esiti migliori?

Sul piano personale, la convinzione che l’avvocato sia il principe dell’universo. Ho sempre vissuto il mio dialogo interiore con la dimensione politica del diritto come l’accesso ad una forma di sapere e di pensiero che va oltre l’ordinario e il fisico. Sono convinto che l’avvocato possa e debba essere una parte imprescindibile dell’elaborazione che guida i processi di adeguamento della società. Sul piano associativo spero che il nostro radicalismo, unito all’attenzione e all’impegno verso gli strumenti operativi della politica contemporanea, ci consentiranno di dare un contributo valido all’avvocatura, alla giustizia ed in definitiva, al nostro paese.

Come vedi non riesci a sfuggire alla dimensione politica della politica forense, nonostante tu ne voglia ostinatamente stare fuori. Non sarà che alla fine verrai risucchiato da questa contraddizione, reinterpretandola a tuo uso e consumo, esattamente come gli altri?

Una politica di categoria non può e non deve mai diventare partitica. Il legame tra gli istituti che riguardano gli operatori di giustizia e la società è forte e le commistioni sono inevitabili. I comportamenti e le regole di ingaggio che un soggetto collettivo deve darsi, per impedire ai singoli di utilizzare un gruppo a fini di rafforzamento di tesi politiche di parte, sono il solo antidoto contro lo scadimento della politica forense. In questo senso la nostra associazione non farà sconti a nessuno, incluso il sottoscritto.

Non mi resta che augurarvi buona fortuna. Giusto?

Siamo noi a ringraziare il vostro giornale per il confronto che offre a questi temi. Discutere di politica e di come adeguare questa dimensione del cittadino ai bisogni del nostro tempo non è un esercizio di stile, ma un severo banco di prova per la nostra coscienza civica. In questo senso speriamo di poter offrire un contributo apprezzabile. Sicuramente ce la stiamo mettendo tutta.

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