Gli Avvocati tra il capitale, i capitoli ed i capitomboli

11 Aprile, 2018 | Autore : |

Il segno più evidente di una professione affetta da un morbo, che ne causa la mutazione genetica è riscontrabile nel difetto di capacità di affrontare le sfide per il futuro, salvaguardando il DNA della professione e della professionalità degli avvocati.

Emblematico sul punto è il dedalo legislativo, che ha condotto gli avvocati alla fine di un percorso tortuoso a poter esercitare la professione in forma societaria e con l’apporto di soci  di capitale .

La professione di avvocato è una professione prettamente intellettuale, che più del supporto di capitali necessita di abbeverarsi ai capitoli della cultura, dell’ impegno, dello studio e dell’ intelligenza.

Ma, nel confusionario capitombolo in cui rotola la professione, la ricerca di un solido assetto istituzionale sembra volgersi a privilegiare i valori mercantili della professione, in cui i migliori avvocati sono quelli con i soci di capitali alle spalle, anche se ignoranti o superficiali.

Non è solo interesse degli avvocati difendere la propria autonomia e indipendenza dai condizionamenti del mercato, ma dei cittadini, che attraverso la difesa dei diritti migliorano e aumentano la quota di qualità della democrazia del paese.

In realtà tra le pieghe dell’ordito delle riforme che hanno interessato la professione negli ultimi anni è facile rilevare che l’interesse egemonico è quello di avere una categoria professionale che possa funzionalmente e supinamente aderire al pensiero unico dominante del momento.

Ammansire, acquietare e subornare la vivacità intellettuale degli avvocati significa addomesticare ai poteri i diritti e la democrazia.

Perché “gli avvocati rappresentano la libertà; sono il simbolo vivente di quello che forse è il principio vitale delle democrazie moderne: che per arrivare alla giustizia bisogna passare attraverso la libertà” (Calamandrei, Processo e democrazia, Padova, 1954, 132).

Occorre difendere la dignità e la storia di una professione, per difendere la democrazia e diritti del nostro paese, che vive sospesa in un vuoto, la stagione, in cui la globalizzazione ha svelato l’inganno delle utopie partecipative e al tempo stesso ha incrinato i valori della democrazia rappresentativa.

Ebbene, la stragrande maggioranza degli avvocati, assistono inerti allo scontro tra una impostazione ideale dello studio professionale,come entità configurabile a prescindere dal capitale economico e quella dello studio come organizzazione di strumenti e risorse umane che può prescindere dal capitale umano.

E come si sà: “vuolsi così colà dove si puote e più non dimandare“, a supporto del mainstream soccorono le coperture della legalità formale, come ha gà fatto per esempio la Cassazione con Sentenza n. 16500 del 2004, quando prendendo in esame la trasformazione di uno studio associato tra professionisti in società in accomandita semplice, decideva che si è in presenza di un medesimo soggetto giuridico, sia pure dotato di una nuova veste societaria;

Il silenzio dell’ incoerenza delle istituzioni forensi già allora avrebbe dovuto suggerire alla coerenza degli avvocati liberi di richiedere l’iscrizione provocatoria, non più all’albo degli avvocati, ma alla Camera di commercio presso il Registro delle Imprese.

Gli avvocati che non si rassegnano ad essere semplici voci del coro dell’epicedio del feretro della professione forense debbono rifondare le ragioni di un antagonismo, per continuare ad essere protagonisti, in una società che va sempre più verso l’immateriale e il creativo, cui a maggior ragione servono i valori dell’autonomia e dell’indipendenza dell’avvocatura, per assicurare giustizia ed eguaglianza nella democrazia dei diritti.

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