A COSA PORTA L’ASSENZA DI UNA VISIONE POLITICA DELLA PROFESSIONE?

4 Febbraio, 2018 | Autore : |
A COSA PORTA L’ASSENZA DI UNA VISIONE POLITICA DELLA PROFESSIONE?
 
Ieri ho avuto due confronti con avvocati di mia conoscenza, entrambi facenti parte di istituzioni forensi, con un ruolo importante. Il tema è stato “la possibilità dell’agire” all’interno della nostra categoria. In questi anni abbiamo spesso detto che un sentire politico comune si forma solo attraverso la costruzione di idonee strutture. Allo stesso tempo, dare per scontato che gli avvocati italiani abbiano una cultura politica sarebbe un errore gravissimo. I risultati di un agire non orientato politicamente sono sotto gli occhi di tutti:
 
1. assenza di un governo centrale, unificato ed unificante, che sia sintesi e che rilanci, su un piano superiore, il sentire dei singoli avvocati;
2. estrema irrilevanza delle decine di centri decisionali indipendenti, che portano l’avvocatura ad essere, di fatto, il mero accostamento di varie “avvocature”, che non riflettono su se stesse, sul rapporto tra parti e tutto, né si interrogano sull’inefficienza dei moltissimi centri di spesa e di rappresentanza che si sovrappongono, si limitano, si delegittimano a vicenda;
3. costruzione di sistemi politici atomistici e feudali, chiusi rispetto al tempo ed allo spazio, con conseguente schizofrenia delle spinte e dei segnali che si offrono alla politica, ovviamente ben felice di avere a che fare non con un soggetto forte, colto, orientato e coeso, ma con miriadi di bande, capeggiate dal referente locale o parziale di turno.
 
Inutile negare che all’interno dell’avvocatura italiana, avere “ragione”, non serva a nulla. Se si continua a teorizzare che OCF e CNF debbano “coesistere”, se la conoscenza del nostro Ordine Forense continua a restare un optional, se la cultura politica ed associativa è legata al continuo proliferare di piccole congreghe, spesso poco più che gruppetti di familiari o sodali, i quali ottengono riconoscimenti per il solo fatto di esistere, non andremo mai da nessuna parte.
Occorrerebbe provare a cambiare strada, riconoscere gli sbagli, concentrare le decisioni e la rappresentanza in un vero e proprio governo politico, tanto forte ed autorevole da non avere voci dissonanti, capaci di delegittimarlo e legittimarsi, ma ciò non avviene, perché segnerebbe la fine dei tanti personaggi che girano l’Italia, dicendo di rappresentare “gli avvocati”.
 
Quanti sono infatti i rappresentanti degli avvocati in Italia? Migliaia. Il tema lo abbiamo affrontato molte volte: la Cassa Forense si dichiara mamma e casa comune; il Consiglio Nazionale Forense esercita il potere politico in modo totalmente autoreferenziale ed indiscriminato; i Consigli dell’Ordine locali si comportano come feudi, duplicando all’infinito posizioni su tematiche affrontate in sede nazionale; le associazioni “maggiormente rappresentative”, ormai fallite sul piano della legittimazione politica, utilizzano il patentino di santità rilasciato dal CNF per spadroneggiare in casa propria, ottenere denari dalle istituzioni, dare a dirigenti plurisconfitti dalla storia una legittimazione presso i propri fans. Infine c’è il Congresso Nazionale Forense, massima assise del nulla, e l’Organismo Congressuale Forense, rivelatosi già inutile dopo poche settimane dalla decisione che ne ha segnato la nascita.
 
E questo solo per citare le cose “grosse”. Andando ad approfondire l’indagine di questo mare magnum di nani che si credono giganti, passiamo alle associazioni di cartone, i gruppetti di disagiati che prendono le medicine, spesso accozzaglie di tre o quattro soggetti, non di rado spinti dalla fame e dalla disperazione, che provano ad emergere nel panorama politico forense attraverso un’opera di accattonaggio, incoraggiata da chi li usa come manovalanza o agenti provocatori.
 
In un quadro così deteriorato, sotto il profilo normativo, politico e strutturale, in cui la ragione è bandita e la realtà trionfa, è ovvio, scontato, addirittura banale, che i pochi avvocati che abbiano in mente l’avvocatura intuiscano quanto sia difficile, gravoso e non scontato il percorso che potrebbe portare alla sua nascita in Italia. Già, perché in Italia l’avvocatura contemporanea non è mai nata. Sono nati gli avvocati, che è tutta un’altra faccenda.
 
NAD in questo quadro si sta spendendo su alcuni punti fermi, che possano dare un contributo all’improba “mission” di far nascere una categoria degna di tal nome, attraverso alcune “best practices” che necessiteranno di anni per dare frutti significativi. Ne elenco di seguito alcune:
 
1. riportare l’idea di politica al centro della formazione dell’avvocato;
2. rilanciare l’agire politico, come momento essenziale dell’attività politico istituzionale degli avvocati;
3. selezionare gli interlocutori politici, impedendo il proliferare di soggetti non riconoscibili, né degni di alcuna interlocuzione;
4. fare costante opera di acculturazione politica, all’interno ed all’esterno dell’associazione.
 
Non sarà facile, non è detto che riusciremo a far nascere l’avvocatura in Italia. Ci vorranno anni, potremmo non farcela, ma se vogliamo davvero un’avvocatura, dobbiamo provarci.
 
#nonabbiamoalternative
Il segretario nazionale
Avv. Salvatore Lucignano

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