CHI VOTA UN AMICO PERDE IL TESORO

13 Aprile, 2018 | Autore : |

 

Lo spunto di questa riflessione viene dal capolavoro con il grande e compianto Bud Spencer e Terence Hill, ma parla di avvocati. Eh si, chi vota un amico perde il tesoro. In politica forense ciò che sta contribuendo alla distruzione della categoria è la mancata evoluzione dell’avvocatura massificata ai meccanismi della politica. NAD anche su questo versante è eretica. Molti, troppi colleghi, ci guardano come alieni, quando ci sgoliamo per dire che per cambiare in meglio l’avvocatura, per risolvere la crisi, dobbiamo finalmente uscire dalle logiche personalistiche che hanno guidato il voto degli avvocati fino ad oggi e cominciare a parlare di politica, a votare progetti politici, a non confondere il mancato voto all’amico con la sconfessione dell’amicizia… ma soprattutto… a non votare l’amico, per ragioni di “amicizia”.

 

Presidio NAD a Napoli, 12 aprile 2018. Colleghi uniti dalla battaglia politica, amicizie nate e cresciute nella militanza comune, non “amici per forza”, ma politici, che credono nello stesso progetto.

 

Se si ragiona a freddo su questo aspetto non si può non vedere come l’avvocatura italiana, anche su questo versante, sia cresciuta in dimensioni, senza adeguare le sue strutture cognitive, culturali, al gigantismo dei numeri. Il risultato di questo enorme “corpo”, privo di “testa” politica, è stato che abbiamo ingigantito i numeri della professione, amplificandone i problemi, senza preoccuparci di costruire una classe dirigente dotata di cultura politica, per governare quei problemi.

 

Oggi il dramma di questa inadeguatezza politica della categoria, nelle sue strutture dirigenti, nella mancanza di personalità colte, che sappiano unire il paese, unire le avvocature in un soggetto politico forte e sintetico, è messa a nudo dalla mancanza di una strategia per vincere la nostra crisi reddituale. Nonostante questo sia il vero, grande banco di prova con cui ogni politico forense degno di tal nome si dovrebbe confrontare, l’avvocatura “politica” continua a sfuggirlo, parlando di tutto per non parlar d’amore. Facciamo processi disciplinari lunghi anni ai dissidenti, quereliamo gli oppositori scomodi, anestetizziamo il confronto e lo scontro, immettendo nel sistema politico vagonate di finto buonismo, di unanimismo di facciata e non ci preoccupiamo di far nascere una scuola politica nazionale, che formi colleghi capaci di fare politica, non adottiamo dei sistemi elettorali che premino la dimensione politica del confronto tra colleghi, ma continuiamo a mascherare le liste, cercando persino nomi fittizi, di comodo, parlando di “aggregazioni”. Insomma, dovevamo dare una mente politica ad un corpo sgraziato, cresciuto fuori misura e in modo disarmonico, ma abbiamo fallito ed ora siamo un gigante, goffo e sgraziato, che inciampa ad ogni passo, perché non sa dove guardare.

L’assenza di una componente politica “necessaria” all’interno dell’avvocatura italiana, il voto intuitu personae, l’incapacità di comprendere quanto sia diverso e non sovrapponibile il voto di “amicizia” a quella moralità e decoro che dovrebbero guidare la professione forense e le scelte elettorali dell’avvocato, per decidere sulle sorti delle nostre istituzioni, sono sempre state uno dei settori della deontologia “su carta” ignorati dalla Cosa Nostra Forense. Il risultato di tale regime “al nero”, che spesso ha mostrato il peggio di sé in occasione di votazioni in cui gli esponenti delle vecchie famiglie si scannavano a sangue, pur di “sacrificarsi” per rappresentare i colleghi, è stato di una rappresentanza non all’altezza.

Proprio così: il regime ordinistico ha vinto, all’interno della professione, ha scoraggiato i più dal seguire la politica forense, li ha allontanati dall’amore verso la partecipazione e la politica, è riuscito a inculcare nelle menti degli avvocati che il “vero” avvocato non fa politica forense, ma lavora e non ha tempo da perdere dietro queste vicende da sfigati. Un mostro, un modello di avvocatura diseducata al civismo, in cui i più infingardi, i più incapaci di essere parte politicamente attiva della comunità, infestano la classe, propinando costantemente elogi del disimpegno.

No colleghi, chi non partecipa alla costruzione di un’avvocatura migliore può legittimamente pensare a se stesso, al proprio lavoro, infischiarsene del contesto. Nessuna condanna per chi ha questa visione della vita e della società. Ci sono avvocati che sono mestieranti, che hanno anche la nobiltà di tacere, di non prendere posizione, né di additare i colleghi che si spendono in politica forense. Costoro vanno pienamente rispettati. Molto meno rispettabili sono i politici forensi infingardi: quei disagiati che, non sapendo nulla, non partecipando alla politica forense in modo attivo, fattivo, propositivo, discettano, additano i protagonisti, si atteggiano a luminari, a politici di lungo corso, vantano eserciti di immaginari sostenitori… e poi si ritrovano a militare in congreghe di quattro o cinque compari, sconosciuti al mondo e ai colleghi, incapaci di prendere persino il voto dei propri congiunti, laddove si presentano a qualche elezione forense.

 

 

 

NAD sta provando a far cambiare la mentalità dei colleghi, a far nascere la politica forense. Noi dobbiamo assolutamente riuscire a far comprendere agli avvocati che fare politica forense, avere un’identità politica, scegliere progetti, programmi e interpreti, non è una cosa avulsa dalla professione o incompatibile con essa. NAD cerca di far ripudiare la logica amicale che continua a dominare larga parte della fantasia politica degli avvocati italiani. E’ surreale che tale pratica, che apparirebbe assurda, se perpetrata in politica, venga considerata “normale” in politica forense. E’ assurdo che molti colleghi votino il vegliardo di turno, solo perché “da sempre” presente nelle istituzioni, o votino l’onnipresente collega che al seggio stringe mani, batte pacche sulle spalle, fa larghi sorrisi di circostanza.

NAD sta lentamente e faticosamente rivoluzionando questo modo di fare. Noi vogliamo essere votati per i nostri programmi, per le idee e le lotte che portiamo avanti, per il valore dei rappresentanti che mettiamo in campo. Vogliamo che ci giudichiate per le nostre capacità di parlare e di scrivere di avvocatura e giustizia, che valutiate la nostra cultura, leggendo documenti, vogliamo che ci osserviate, che ci troviate credibili.

 

E’ proprio il caso di dirlo: l’avvocatura italiana deve liberarsi dal concetto di “amicizia” e votare finalmente con decoro, maturità, testa. E’ ora di dare una mente politica a questo gigante senza cervello. Noi ce la stiamo mettendo tutta per riuscirci in fretta.

 

Avv.  Salvatore Lucignano

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