AVVOCATURA DI MASSA, AFFAMATA, CONSERVATRICE E MORTA

4 Aprile, 2018 | Autore : |

 

Quando abbiamo cominciato a raccontare la morte dell’avvocatura di massa, gli effetti della legge professionale forense 247/2012 sul disastro interno alla categoria non si erano ancora consolidati. La corsa al “posto” di avvocato, partita dal boom degli anni 80 e guardata con favore dalla Cosa Nostra Istituzionalizzata aveva seguito unicamente le leggi del profitto possibile. Gli antesignani di Zù Totò Mascherin, attuale capo della Cupola, si limitavano a gioire di una istituzionalizzazione sostanzialmente priva di qualsiasi effettivo dovere di rappresentanza collettiva. Gli avvocati guadagnavano bene, le truffe seriali rendevano, i clienti non avevano né scelta e né scampo, internet non esisteva e la barca a mare stava divinamente.

Nell’analisi della storia della nostra involuzione non possiamo dunque ignorare l’aspetto antisociale e vile proprio di chi ha governato il fenomeno, ma non possiamo negare che i protagonisti della bolla non fossero affatto migliori dei loro padrini. Si tratta ovviamente di verità scomode, occultate dalla propaganda di regime, che ha potuto godere di un alleato potentissimo, nella riproposizione della spigolatrice di Sapri: la straordinaria capacità degli sfruttati di godere di vuote parole, infischiandosene delle pance, ugualmente vuote. E’ accaduto così che moltissimi padrini della Cosa Nostra Forense si siano assicurati il dominio di una classe sempre più infima, sempre più vigliacca e distante dal governo delle proprie robe e delle proprie cose, grazie a paroline al miele dispensate dall’alto. Il volgo, invigliacchito, codardo, infingardo, godeva di riferimenti aulici, appelli strappalacrime al ricordo dei giorni della “laura”, dell’abilitazione, della prima vestizione con la toga… tutte puttanate, roba da cercopitechi, che infatti, ancora oggi, garantisce popolarità certa tra gli straccioni impiegati nelle bettole del sottodiritto della “giustizia di prossimità”.

 

 

La storia dell’avvocatura italiana è infame, questa è la verità. La storiografia della professione forense, in pratica, non esiste. Fossimo individui degni di rispetto e non subumani, tronfi ed inspiegabilmente fieri di aver messo due parole in croce a un esame di abilitazione, potrebbe servire un novello Federico, che partendo da una seria opera di filologia e ricostruzione storica, raccontasse finalmente alla massa immonda la vera versione dei fatti, la reale evoluzione della nostra indubitabile degradazione. Purtroppo nell’avvocatura italiana non vi sono orecchie che intendano, né palle che sentano, per cui le costanti denunce di una rappresentazione distorta del vero, da parte della cupola e di buona parte del contado, non scuotono le coscienze, né generano una reazione civile che ambisca alla libertà e al cambiamento, per mezzo di una necessaria autocritica.

 

 

Oggi i numeri dell’avvocatura sono impietosi, fotografano una professione letteralmente alla canna del gas, distrutta da un’operatività imbarbarita dalla pratica del ciclostile, lontana dal merito e dalla qualità. E’ questa straordinaria carenza di qualità, umana, professionale, politica e culturale, a dominare i processi di stabilizzazione della Mafia Forense S.p.A., che ha letteralmente istituzionalizzato i propri ingranaggi, confondendo in modo indistinguibile il legale con l’illegale, ha imborghesito e ingentilito le fonti dei propri finanziamenti illeciti, ha mascherato la volgarità e l’immoralità delle proprie strutture, riuscendo in un’operazione di mimetizzazione del male avallata da una classe che è complice di quel male. Il boom speculativo dell’avvocatura di massa ha saldato gli interessi alla sopravvivenza fondati sul compromesso degli abitanti dei bassifondi, con quelli alla permanenza al potere dei gruppi dominanti, facendo diventare la conservazione dello status quo e la giustificazione ad oltranza del sistema ordinistico un gioco da ragazzi. Il risultato di una tale concorrenza di ignavie è stata la creazione di un blocco conservatore trasversale, che va dai docenti pagati dai padrini, operanti nelle scuole di formazione gestite dalla Cosa Nostra all’interno dei Consigli dell’Ordine, alle fondazioni, agli istituti di mediazione, ai relatori dei convegni accreditati, alla manovalanza che sopravvive negli studi dei caporali istituzionalizzati. Tutto ciò che oggi si pasce del regime dell’istituzionalizzazione forense trova sempre il modo di unirsi attorno all’Ordine, alla Cosa Nostra, esprimendo politiche e politici forensi che svolgono in modo egregio la funzione di stabilizzazione del sistema. Il vero capolavoro della Mafia Forense S.p.A. è però consistito nell’asservimento di chi è estraneo a questo sistema, di chi osserva il banchetto da lontano, ma è pronto a difendere il regime a spada tratta, contro ogni tentativo di destabilizzazione, in difesa della speranza di essere cooptato dai padrini, come premio alla propria imperitura fedeltà.

 

 

La saldatura di questo blocco politico, unita alla viltà e al disinteresse di gran parte degli sfruttati e degli esclusi, ha generato un formidabile movimento di conservazione, vero e proprio dominatore della politica forense italiana negli ultimi 6 anni. Si può tranquillamente affermare che il disegno di Guido Alpa, il padrino dell’avvocatura italiana più devastante che la professione potesse mai trovarsi ad affrontare, ha vinto su tutti i fronti. Il cattivo, vecchio Guido è riuscito ad inserire la Mafia Forense in ogni chiodo, trave o bullone dell’edificio professionale. Oggi la Cosa Nostra prende la tangente su tutto: la corruzione impera, a partire dall’università, un luogo tetro, che ottenebra le menti dei giovani studenti, le imbottisce di nozioni spesso inutili, costringendo i malcapitati ed impreparati giovani aspiranti al titolo di “avvocato” ad anni ed anni di insensato travaglio, che solo un criminale potrebbe definire “studio”, se non fosse per l’aspetto, matto e disperatissimo, che lo contraddistingue.

Dall’università, che ha lo scopo di trattenere e derubare gli studenti, gli aspiranti avvocati passano al tirocinio, che non di rado è regolato dalla legge della giungla e dal nonnismo istituzionalizzato, per cui ciò che è stato subito dai nonni va fatto alle reclute, perché ai bei tempi si usava così e vaffanculo se i nonni, dopo aver pulito le scarpe ai bisnonni, si arricchivano con le cause false, tu intanto comincia a servirmi, che poi quando avrai fame ne riparliamo.

L’accesso alla professione rappresenta però solo il secondo step di una vera e propria via crucis. Già derubato e vessato da meccanismi irrazionali e degradanti, una volta diventato avvocato il giovane professionista è sottoposto ad ogni genere di umiliazione: accesso alla giustizia negato o sottoposto a costi esorbitanti; difficoltà a far valere capacità e meriti, trovando riscontro al proprio agire positivo in un Ordinamento fallito, corrotto, inefficiente, in cui dominano collusioni criminali e criminogene tra buona parte della magistratura e degli operatori che si rapportano ad essa; istituzioni forensi che si preoccupano di inserire l’inconsapevole pedina di questa mostruosa giostra in un circuito pseudo formativo e retorico, fatto di celebrazioni dell’avvocatura di stampo fascista, con continui e sfibranti richiami alla gloriosa tradizione dei padri, misti ad una miriade di corsi, convegni, parate, di cui raramente resta una traccia scritta che non sia degna di essere utilizzata come carta igienica, ma che legittima e certifica l’incapacità della Cosa Nostra Forense di scrivere documenti degni di tal nome, contribuendo a rafforzare nelle labili menti dei giovani coglioni la credenza che un vero avvocato non debba sapere nulla, che per essere un decoroso esponente dell’Ordine Forense basti saper dire due frasi retoriche, citare a caso qualche barone dei bei tempi andati, assumere un atteggiamento solenne e declamare l’altissima funzione sociale della professione forense. In una sola parola: bullshit, ovvero stronzate, se vogliamo esprimerci nella nostra adorata lingua natia.

Eppure i giovani avvocati, intervistati dalla mia Avvocatura 3.0, nel 2015 hanno detto che l’accesso libero a questo manicomio itinerante è ormai da superare. Solo il 21% del campione intervistato nel nostro sondaggio rivolto alla giovane avvocatura si ritenevano convinti che l’accesso alla professione non dovesse più subire alcun tipo di limitazione. In altri termini, nonostante una legge professionale intrisa di propaganda dal sapore Goebblesiano, i giovani cominciano a comprendere il trucco. La polpetta avvelenata servita loro dal cattivo, vecchio Alpa ha ormai svelato il suo sapore amarognolo. Il suono tristo delle catene e i morsi della fame riescono infine a creare qualche crepa nel racconto delle sorti magnifiche e progressive di una professione letteralmente in macerie, in cui il regime istituzionalizzato continua a ciarlare di splendore, castelli, altezze, oro ed argento, mentre la plebe è immersa nel fango.

 

 

“Eran trecento, eran giovani e forti

e sono morti…” 

 

Perché la drammatica situazione di un’avvocatura moribonda non viene adeguatamente rappresentata nei momenti elettorali? Per varie ragioni, in primo luogo perché la Mafia Forense ha posticipato il voto, di anni, con stratagemmi illegali, coperti dalla connivenza del Ministero della Giustizia. In questo senso la vicenda SOVIETICHELLUM, il famigerato (e poi cancellato) regolamento partorito dalla Cosa Nostra di Guido Alpa & Picciotti, anche se formalmente emanato dagli uffici di Via Arenula, ha rappresentato una delle pagine più buie dell’avvocatura italiana di questi anni, anche se siamo stati in pochissimi quelli che hanno combattuto perché quella pagina venisse strappata. Le prorogatio dei Consigli fedeli a Cosa Nostra hanno giocato ancora una volta un ruolo devastante per le aspirazioni al cambiamento, che pure si sono andate vagamente manifestando, all’indomani dell’approvazione di una legge professionale forense di cui è stata chiara a molti la funzione di sterminio dei giovani, delle donne, dei deboli, attraverso il rafforzamento dello strapotere della Mafia Istituzionalizzata, a discapito di tutte queste categorie di avvocati liberi. I padrini della Cosa Nostra, grazie al cattivo, vecchio Guido, si sono di fatto regalati altri 6 anni di potere e di clientele, dal 2012 al 2018, e mirano a garantirsene altri 8, fino al 2027, grazie ad un’interpretazione truffaldina del divieto di candidatura oltre i due mandati già svolti, operante in sinergia con l’allungamento a 4 anni di quei mandati.

Lo scopo della legge è diventato la cristallizzazione della Mafia, la sua legalizzazione, la necessità di non poter più distinguere il cancro dall’organismo che lo ospita ed oggi il padrino che ha raccolto l’eredità di Alpa, con modalità operative ancora più fameliche, spregiudicate e dirompenti, Zù Totò Mascherin, mira addirittura alla santificazione della Cosa Nostra, attraverso la menzione nella nostra Costituzione del Consiglio Nazionale Forense, ovvero dell’organismo autoritario, affaristico e padronale che ha gestito questa gigantesca tragedia sociale, professionale e politica.

Mario Brega esclamerebbe: “me pijano li brividi…

 

 

Le problematiche tecniche, l’assenza di regolamenti elettorali legittimi, il potere imposto per mezzo del potere, della corruzione, della sistematica opera di indottrinamento ordinistico operata dalla Cosa Nostra nei confronti degli avvocati spiegano il mancato scoppiare della rivolta contro la cupola. Io in questa guerra ci sono stato, fin dal principio, sono forse il più fedele testimone di un racconto “scorretto”, che tra molti anni, ben dopo la mia radiazione, racconterà la verità a chi avrà la voglia di leggerla.

La retorica ordinistica ha ucciso ogni anelito civile in una classe a cui è mancata e ancora manca, il più flebile barlume di dignità.

 

 

Nella guerra contro la Cosa Nostra Forense noi, pochissimi avvocati liberi, giochiamo il ruolo degli indiani d’America, contro le giubbe blu dell’esercito statunitense. Siamo pochi, male armati, spesso tra di noi i nostri commilitoni vengono comprati o finiscono ad ubriacarsi, impoveriti e sfiniti dalla fame. Possediamo archi e frecce e dobbiamo fare i conti con un potere ordinistico che ha i cannoni e le mitragliatrici. E’ una guerra sproporzionata, infame, che sottopone il singolo avvocato libero ad uno sforzo iniquo, che lo condanna all’abbandono della professione, che fa del male alla propria famiglia.

Ciò nonostante si tratta di una guerra giusta e c’è chi continuerà a combatterla. NAD non ha intenzione di arrendersi. Potremo sicuramente essere sconfitti, terminare i nostri sforzi ridotti in una riserva federale, ma non siamo disponibili a piegarci all’accettazione di un racconto falso e vigliacco, non riconosceremo il dominio di una Cosa Nostra Forense indegna, inadeguata, moralmente e culturalmente. Questa è guerra all’ultimo sangue e se tanto dobbiamo morire, almeno moriremo lottando.

 

Avv. Salvatore Lucignano

 

 

 

 

 

 

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