A MIO SOMMESSO AVVISO È GIUNTA L’ORA DI DIRE BASTA. SEMPRE CON OSSERVANZA

30 Giugno, 2020 | Autore : |

Avvocato Elena Scarabelli – Nuova Avvocatura Democratica sezione di Milano

Il codice deontologico impone all’avvocatura un comportamento specchiato.

Proprio così … “specchiato”.

Mi ha sempre incuriosito il diktat perché lo intendevo come “devo potermi specchiare, cioè devo potermi guardare nello specchio, avendo rispetto di me stessa”.

Ho sempre pensato: me lo deve imporre qualcuno? Perché, prima ancora della deontologia, il rispetto di me stessa e dei valori fondanti il vivere civile è stato pilastro della mia esistenza.

Poi ho capito. O meglio, ho inteso a modo mio. Ho letto tra le righe che, soprattutto per un avvocato penalista, occorreva dimostrare di essere altro dai propri assistiti.

Mi sono arrabbiata e molto.

Perché io sono diversa dai miei assistiti, ma non per quel sentire popolare e populista.

Sono diversa perché ho avuto tante opportunità, molto affetto e denaro a sufficienza per fare quello per cui mi sentivo portata.

Ho capito subito, in tre mesi di pratica forense, che la realtà è variegata e non molti hanno avuto i miei privilegi. Non tutti partiamo dallo stesso gradino della scala sociale. Non tutti abbiamo genitori retti, che ci insegnano cosa sia giusto e sbagliato. Molti non hanno affatto avuto figure di riferimento.

Chi, tra questi sfortunati, ha condotto una vita nella legalità, resta all’ombra di una società sorda e cieca, laddove meriterebbe una medaglia al merito.

Conosciamo chi non ce l’ha fatta e si è macchiato di reati, più o meno gravi.

Questo è il mio approccio alla professione forense. Dall’alto della mia facile condotta specchiata, cerco di capire chi questa condotta non ha voluto o potuto tenere.

Questa premessa è doverosa in questi tempi, in cui non esistono più fondamenti razionali del giudizio. Tempi in cui si inneggia al carcere tout court, senza nessun distinguo. Pretendendo condotte specchiate da tutti. Salvo che da se stessi.

Adesso però sono stanca. Sono stanca di discorsi popolari, avulsi dalla realtà.

Sono stanca di assiomi, di frasi fatte e di non detti, tutti convergenti su un unico scopo: non  disturbare il sistema, non modificare lo status quo, non andare mai oltre le righe.

Dietro un farlocco rispetto per delle vetuste istituzioni, si nasconde spesso una paura ed un senso di inferiorità di un’intera categoria: gli avvocati, che firmano gli atti ancora con la dicitura “con ossequio”.

Basta, il tempo è finito.

La pandemia, la crisi del CSM, l’inerzia delle associazioni forensi ci sta urlando che le cose devono cambiare, che la forma non argina più la sostanza, la quale si sfalda ogni giorno.

Gli avvocati sono la traslazione democratica del procedimento giudiziario: siamo i moschettieri della giustizia.

Siamo coloro che possono e devono rappresentare alla magistratura, ormai barricata in un potere che fa capo solo a se stesso, i diritti e le istanze dei cittadini. Degli ultimi, come prima cosa.

Perchè quello che la gente non sa è che la stragrande maggioranza dei procedimenti penali che arrivano in aula sono fatti di storie di poveretti, emarginati, dimenticati e derelitti.

I grandi processi mediatici, che scandalizzano e infiammano il popolo, sono una percentuale irrisoria della giustizia italiana. Ma è sulla base di questi che si fanno le leggi: leggi che, spesso, non sono giuste, ma che raccolgono consensi, per lo più elettorali.

E allora dico ancora basta! Basta con la propaganda fatta sulla pelle dei poveracci.

Occorre una riforma della giustizia, che impedisca i processi di serie A) e di serie B).

Riforma che non può che transitare attraverso una riforma della magistratura, che impedisca lo scempio visto ai tempi della pandemia.

Volete davvero dire ai cittadini cosa è accaduto? Volete dire alle persone detenute in custodia cautelare cosa è successo? O alle persone offese in attesa di giustizia?

Bene! È successo questo:

i vari DPCM hanno delegato ai presidenti dei Tribunali (ovvero a giudici delle cui capacità gestionali ed organizzative nessuno sa nulla, posto che – appunto – trattasi di magistrati) di assumere linee guida per la gestione dell’emergenza.

I suddetti dirigenti hanno delegato ai presidenti di sezione – quanto alla gestione delle udienze – i quali, a loro volta, hanno delegato i dirigenti delle cancellerie quanto ad amministrazione del personale.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un blocco catastrofico del sistema giustizia.

Vi racconteranno della scarsità di mezzi, dell’impossibilità gestionale, delle difficoltà endemiche del sistema giustizia.

Ma la verità è un’altra: la caparbia decisione di andare esenti da responsabilità personali, a cui ogni dirigente sarebbe chiamato, qualora fosse un privato lavoratore.

La pubblica amministrazione no: sono anni che vige la regola dello scaricabarile. Esattamente quello che è successo durante l’emergenza covid.

Il risultato? L’anarchia.

Ognuno ha fatto e continua a fare a modo suo, sicuro che andrà esente da una resa dei conti che nessuno chiederà mai.

Volete esempi?

Udienze con detenuti in custodia cautelare non trattati, adducendo che non fossero compresi nell’art. 83 del DPCM 18/20, cancellieri in smart working senza accesso ai fascicoli e al sistema informatico della giustizia, impossibilità di accesso alle cancellerie, richieste di contatti telefonici con la p.a senza indicazione dei relativi recapiti, pressioni ai difensori costretti a celebrare processi da remoto, pena il rinvio sine die del relativo procedimento, mancato allestimento di sistemi informatici decenti a stabilire connessioni stabili, quantomeno sufficienti a rendere intellegibili le istanze dell’interlocutore, persone offese da atroci reati e in attesa di giudizio da oltre sei anni, che si vedono rinviati procedimenti a settembre …

Si potrebbe andare avanti all’infinito: viviamo nel paese in cui aprono le discoteche, ma i cancellieri non possono andare in Tribunale; in un paese in cui esistono circolari nelle quali si invita il personale a garantire la presenza a palazzo di giustizia almeno 4 giorni alla settimana, salvo poi escludere dall’obbligo i lavoratori “ipersuscettibili”, coloro che prendono mezzi pubblici, altri che manifestano non meglio specificati disagi… In altri termini, in cui si invitano i lavoratori ad inventare un qualsivoglia motivo per non andare al lavoro, senza nessun adeguamento dello stipendio in relazione alla produttività.

E no, non si protesti attraverso il solito meccanismo dello scaricabarile, perché – accanto a tale e tanto scempio – si sono evidenziati magistrati e personale amministrativo devoti al ruolo ed al lavoro, che – nonostante tutto – hanno celebrato anche procedimenti non compresi in quelli d’urgenza, a dimostrazione empirica del fatto che “se si vuole, si può”.

Ma solo per concessione dall’alto, perché nessun organo dell’avvocatura è stato davvero preso in considerazione. O meglio: finchè gli avvocati si son dimostrati collaborativi all’interno del sistema unilateralmente delimitato , potevano avere voce. Nel momento in cui la voce si è alzata, altrettanto hanno fatto gli impenetrabili muri della p.a.

Chi, quando e a chi si renderà conto di questa catastrofe, che ha sacrificato i diritti di molti sull’altare della codardia e della nullafacenza??? Chi???

La critica – che mi rendo conto essere feroce – non tralascia la mia categoria: a noi il demerito di non essere in grado di avere un’unica voce, di demandare ad organismi ormai rappresentativi solo di se stessi, istanze e richieste.

Noi, visti come questuanti e dischi rotti, che scontiamo i pregiudizi di essere spregiudicati professionisti, con l’unico interesse del profitto personale, che sentiamo ciniche battute sul nostro operato, ammantato sempre – nell’opinione collettiva – di qualche alone furbesco, al limite del truffaldino.

È ora di dire basta! Di far comprendere il valore, il prestigio, la forza, la capacità, l’impegno dell’avvocatura, che pare essere l’ultimo baluardo dei diritti civili a fronte di una potere stratificato e burocraticizzato che della vita e delle persone non si interessa più da tanto e troppo tempo.

È ora di dire basta e di riacquistare il  nostro ruolo nel sistema giustizia, iniziando in primis da noi stessi, dall’orgoglio per il nostro lavoro e dalla riaffermazione del nostro fondamentale ruolo istituzionale che è nato e che continua ad esistere a tutela dei cittadini tutti, senza distinzione alcuna, credendo – nonostante tutto – ai dettati costituzionali per cui la legge è uguale per tutti.

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