COMPARSA PER ESPOSTO SU MANCANZA DI CREDITI FORMATIVI

27 Gennaio, 2018 | Autore : |

Al Consiglio Distrettuale di Disciplina di Napoli, a mezzo PEC, all’indirizzo cddnapoli@avvocatinapoli.legalmail.it

Memoria a seguito di esposto per mancato assolvimento dell’obbligo formativo. Procedimento disciplinare n. 15/2017.

 

Preliminarmente rinuncio alla nomina di un difensore ed invito questo Consiglio ad inviare le comunicazioni inerenti il procedimento presso l’indirizzo PEC già in Vs. possesso.

Come riportato, ho denunciato il mancato assolvimento dell’obbligo formativo, nel triennio 2014/2016, ma in realtà le motivazioni succintamente riferite nella comunicazione di apertura del procedimento disciplinare a mio carico non rappresentano correttamente le ragioni della mia scelta.

 

  1. I crediti formativi rappresentano un istituto illegale.

Questa è la prima ragione della mia disobbedienza verso le norme regolamentari che li impongono. La legge professionale n. 247/2012, in tema di formazione, all’art. 11, comma 3 prevedeva che il Consiglio Nazionale Forense (di seguito CNF) stabilisse le modalità e le condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di formazione e aggiornamento continui, “superando l’attuale sistema dei crediti formativi”. Ciò non è avvenuto. In particolare, il regolamento adottato dal CNF in data 16 luglio 2014, n. 6, prevede il credito formativo come “unità di misura del carico di studio e di impegno necessario per l’assolvimento dell’obbligo di formazione continua e della rilevanza dell’attività formativa in relazione alle specifiche finalità previste dal presente regolamento”. (cfr. regolamento citato, art. 5 sub c).

Da quanto citato appare chiaro come il credito formativo, utilizzato nelle modalità e con le finalità previste dal regolamento per la formazione vigente all’interno dell’Ordine Forense, ignori la disposizione normativa primaria, che imponeva che il sistema dei crediti formativi fosse “superato” (cit.). Certo, una lettura politicamente orientata potrebbe utilizzare il termine “attuale”, contenuto nella legge, per sostenere che il regolamento n. 6 del 2014, dettando “nuove” norme, abbia superato quelle “attuali” al momento dell’entrata in vigore della nostra legge professionale. Ciò potrebbe spingere qualche ardito sofista a ritenere che, trattandosi di altro, il nuovo abbia di fatto sostituito il vecchio, non violando la legge.

Laddove l’Ordine Forense fosse così sfacciato da sostenere una simile interpretazione, si tratterebbe di una tesi risibile, priva di qualsiasi credito. La natura del credito formativo ed il sistema dei crediti formativi disciplinati dal regolamento n. 6/2014, non differiscono in nulla da quanto preesistente. Il criterio della diversità rispetto all’attualità, imposto dalla legge n. 247/2012, non può ragionevolmente ritenersi integrato dalla riproposizione, per mezzo di norme regolamentari,di un sistema che non supera affatto “il sistema dei crediti formativi”. Né una nuova norma, che non superi il sistema dei crediti formativi, potrebbe ritenersi espressione dell’assolvimento del precetto normativo. Se così fosse infatti, per superare istituti ritenuti inidonei da parte dell’ordinamento con disposizioni “altre”, basterebbe riproporre in eterno tali istituti, facendoli derivare da “nuove” norme, di identico tenore e contenuto, ma di fatto, in ragione della loro “alterità”, distinte e diverse da quelle censurate dall’ordinamento stesso.

Persino un bambino dunque, e non solo un avvocato, sa che il regolamento n. 6/2014 emanato dal Consiglio Nazionale Forense, è illegittimo, viola la legge professionale forense, non superando affatto il sistema dei crediti formativi, ma limitandosi a riproporlo, seppure per mezzo di una “nuova” norma secondaria di riferimento.

Pertanto, con unica motivazione, già assorbente di qualsiasi ulteriore eccezione, si può concludere sull’illegittimità delle norme che disciplinano la formazione continua e si può comprendere la ragione del mio rifiuto all’obbligo di assolvimento dell’obbligo.

 

  1. Inidoneità del credito formativo a misurare lo studio e l’impegno necessario per l’assolvimento dell’obbligo di formazione continua.

Ogni sistema di verifica della formazione, dell’aggiornamento, o anche solo dell’apprendimento, genericamente inteso, non prevede che la mera partecipazione fisica dell’individuo costituisca prova dell’effettivo impegno o dello studio profusi per il conseguimento dello scopo. Il credito formativo è per sua natura radicalmente inidoneo ad assolvere ai compiti per cui sarebbe stato istituito. Le modalità di riconoscimento del credito formativo prevedono che la mera presenza fisica nel luogo in cui si svolgono eventi accreditati dall’Ordine Forense basti a provare, di diritto, che l’avvocato presente abbia studiato i temi oggetto dell’evento e ne abbia compreso ed acquisito le nozioni esplicate. Tale rappresentazione è offensiva del decoro professionale e lede gravemente ai principi che dovrebbero informare la professione forense. Di fatto nessuna verifica sullo studio e sull’apprendimento dei soggetti sottoposti all’obbligo formativo viene mai compiuta, lasciando l’attestazione dell’assolvimento ad un dato meramente fattuale, che nulla ha a che vedere con l’effettivo apprendimento, con l’aggiornamento, con il conseguimento delle facoltà e competenze necessarie a dimostrare che l’avvocato si sia effettivamente formato ed aggiornato, grazie all’acquisizione del “credito formativo”.

In altri termini, il sistema dei crediti, così come oggi si manifesta all’interno dell’Ordine Forense, non consente in alcun modo di verificare che all’assolvimento dell’obbligo corrisponda una effettiva attività di studio, da parte dell’avvocato obbligato. Ciò è inaccettabile, irragionevole e mina alla radice la credibilità del sistema di aggiornamento e dello stesso Ordine Forense.

Del resto, argomentando “a contrario”, se il credito formativo fosse uno strumento idoneo a misurare la quantità di impegno e di studio profusa da un individuo che voglia apprendere determinate nozioni, come mai la mera partecipazione ai corsi universitari, non consente a nessuno studente di prescindere da un momento di verifica, prima di consentire all’Ordinamento italiano di affermare che le nozioni illustrate siano divenute patrimonio dello studente? Se la mera partecipazione fisica ad un evento formativo può essere ritenuta prova dell’impegno e dello studio sulle tematiche oggetto dell’evento, a cosa servono gli esami scolastici? Perché mai la verifica concreta di quanto appreso dall’individuo rappresenta un momento generalmente accettato dalla società, in qualsiasi ambito formativo, mentre tale logica, solare ed incontestabile, viene sospesa ed inspiegabilmente stravolta, quando si tratta di asseverare le nozioni apprese dall’avvocato che voglia aggiornarsi?

E’ evidente, almeno per il sottoscritto, che l’Ordine Forense non abbia risposte ragionevoli da offrire a tali domande e dunque, mancando, almeno per quel che mi riguarda, qualsiasi prova sul valore effettivamente formativo dei cosiddetti “crediti”, il mancato conseguimento degli stessi non può essere valutato come prova della mia mancata attività di studio, di aggiornamento e di formazione continua. Ciò in quanto il credito formativo, per la sua inidoneità intrinseca e strutturale, non è istituto in grado di misurare alcunché.

 

  1. Assenza di controlli sull’effettiva partecipazione e presenza degli avvocati agli eventi formativi accreditati.

L’analisi del sistema di formazione ed aggiornamento obbligatori, come imposti dall’Ordine Forense, sfocia necessariamente in considerazioni politiche, che travalicano gli aspetti meramente giuridici della vicenda di cui mi sono volontariamente reso protagonista. E’ evidente, per quanto ho già argomentato nei punti precedenti, che la mia autodenuncia non attiene affatto all’impossibilità di assolvere all’obbligo formativo, così come architettato dall’Ordine Forense. Nulla, assolutamente nulla, mi vieterebbe di partecipare ad eventi accreditati, scegliendo quelli idonei a completare il paniere di “crediti” necessari all’assolvimento dell’obbligo. Tale attività, chiaramente “di facciata”, mi costerebbe uno sforzo minimo e non mi impedirebbe di dedicarmi ad altre attività, anche durante lo svolgimento degli eventi.

Il punto infatti è proprio questo: è notorio che gli eventi formativi si svolgano, se non tutti, almeno in buona parte, in un clima di assoluta anarchia, che vincola la verifica dell’assolvimento dell’obbligo a prassi mortificanti ed indecorose, quale è ad esempio la oramai famigerata operazione di “beggiare” (neologismo di cui umilmente mi faccio promotore, anche per quanto attiene alla sua ortografia). L’avvocato italiano che deve partecipare all’evento formativo obbligatorio, è molto spesso messo in condizione di presentarsi, “beggiare”, ovvero passare il proprio tesserino sotto al lettore che attesta la sua presenza, recarsi altrove durante lo svolgimento dell’evento, ritornare alla fine dello stesso, ripetere la prassi ed aver così acquisito i crediti formativi legati alla “presenza” durante l’evento stesso.

Si badi, il sottoscritto non ha alcuna intenzione di fornire a questo Consiglio di Disciplina le prove di quanto affermo. Sono un avvocato, sottopongo alla Vostra attenzione dei fatti notori, dei fenomeni di malcostume diffusi e generalizzati, non ritengo che la veridicità delle mie affermazioni debba essere provata da documenti, ma che questo Consiglio la possa e la debba valutare secondo quanto noto e di pubblico dominio. Ciò che denuncio è tanto vero che di recente, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, ha ritenuto di dover nominare alcuni “ispettori”, con il compito preciso di recarsi all’interno delle aule in cui si svolgevano eventi “formativi” e verificare l’effettiva presenza degli avvocati al loro interno. Anche questo è fatto notorio, che non necessita di alcuna prova da parte mia, ma che… al contrario, testimonia la mia attività di “aggiornamento”, legata alla conoscenza dei fatti più rilevanti che avvengono all’interno della professione forense italiana.

Ebbene, se il Consiglio dell’Ordine più grande d’Italia ha ritenuto di dover porre un freno alla disdicevole prassi dei corsi di formazione “deserti”, è evidente che il fenomeno delle presenze finte, all’interno degli eventi formativi, rappresenti un problema reale. L’Ordine Forense non ha mai predisposto alcun valido strumento, atto a verificare la partecipazione degli avvocati ad eventi formativi. In moltissime circostanze gli eventi accreditati si svolgono in aule gremite, in cui il controllo sulla presenza dell’avvocato, nel corso dell’evento, è impossibile. Non mi risulta che la presenza degli avvocati ad eventi formativi accreditati sia imposta da soggetti addetti al controllo. Io stesso, quando ho partecipato ad alcuni eventi accreditati, al fine di testare l’inefficienza del sistema, ho potuto muovermi a mio totale piacimento, entrando ed uscendo dalle aule, senza che nessuno mi chiedesse conto del mio allontanamento, o di come tale allontanamento mi impedisse di accreditare i crediti correlati all’evento. La mancanza di ogni serio controllo, che consenta di verificare almeno la presenza degli avvocati agli eventi accreditati per la formazione, è un’altra autonoma ragione che squalifica il sistema, non rendendolo credibile e giustificando il mio rifiuto di assolvere all’obbligo formativo così concepito.

 

  1. Clientelismo e degenerazione del sistema dei crediti formativi.

Non si può nemmeno tacere degli aspetti più grotteschi del sistema formativo obbligatorio, legati alle penose degenerazioni clientelari che si sono verificate, all’interno dell’Ordine Forense, in ragione di tale sistema. I crediti formativi sono divenuti lo strumento privilegiato di accaparramento di voti da parte di un sistema ordinistico da tempo refrattario all’apoliticità ed ormai intimamente corrotto dalla degenerazione politica delle istituzioni forensi. L’accreditamento degli eventi, durante gli anni in cui mi sono rifiutato di assolvere all’obbligo formativo, ha assunto, perlomeno nel mio Foro di appartenenza, contorni raccapriccianti. Associazioni forensi prive di qualsiasi credibilità e trasparenza, di cui non è dato conoscere il numero di iscritti, o i bilanci, hanno potuto accreditare eventi in ragione della mera contiguità a questo o quel Consigliere dell’Ordine. Le battaglie furiose per l’accreditamento di eventi e convegni, sono divenute uno degli elementi più teatrali e sconci di una politica forense che non solo ha permeato ogni aspetto dell’istituzione forense, ma che è finita con il diventare una copia sbiadita, e purtroppo peggiorata, delle peggiori degenerazioni clientelari del sistema partitocratico italiano. Il risultato di tali disdicevoli prassi è stato il proliferare di eventi formativi, di centinaia e centinaia di convegni, molto spesso patrocinati e accaparrati dai Consiglieri dell’Ordine degli Avvocati, divenuti mere vetrine di parti e di individui. Una bulimia a cui non ha corrisposto, negli anni in contestazione per il disciplinare a cui sono sottoposto, alcuna attività scritta. Nel triennio formativo 2014 – 2016 le relazioni pubblicate sul sito istituzionale del Consiglio dell’Ordine di Napoli, afferenti a convegni formativi accreditati, sono state praticamente pari a zero. Ripeto, delle centinaia di eventi formativi accreditati dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, a livello documentale, non vi è alcuna traccia. Eppure, se solo il 10% di quanto affermato dagli autorevoli relatori presenti in queste svariate centinaia di convegni fosse stato trasfuso in documenti, scritti ovvero audio/video, qualsiasi avvocato appartenente al Foro di Napoli avrebbe potuto impegnarsi nella lettura e nello studio, acquisendo, senza alcuna fatica, le nozioni espresse nel corso degli eventi accreditati.

In altri termini, l’attuale concezione del sistema, per ragioni clientelari, legate alla visibilità di chi partecipa, spesso in modo abitudinario, ad una pletora di eventi formativi accreditati, impedisce che le conoscenze diffuse possano essere acquisite dagli avvocati italiani anche per mezzo di uno studio slegato dalla fisica presenza negli eventi. Ciò non è casuale, ma rappresenta una inaccettabile degenerazione delle finalità della formazione obbligatoria ed è un’altra ragione per cui, negli anni, mi sono rifiutato di assolvere all’obbligo di legge, così come attuato dall’obbligo forense.

La mia attività però non è stata vana. E’ proprio grazie alle mie denunce ed alla mia azione politica che il Foro napoletano, nelle ultime settimane, stia finalmente tentando di superare la situazione illustrata in questa memoria. L’attuale segretario del Consiglio dell’Ordine, Avvocato Vincenzo Pecorella, ha pubblicamente convenuto sulla necessità che il sito istituzionale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli contenga materiale formativo, nelle forme del documento scritto o del file audio/video, tali da poter consentire all’avvocato di assolvere il proprio obbligo anche senza dover fisicamente partecipare all’evento, ma potendo analizzare e studiare contenuti di qualità, direttamente mediante collegamento al sito del Consiglio di appartenenza.

La circostanza in oggetto attiene proprio a quella sfera politica della mia vita professionale, che riveste particolare valore formativo, pur sfuggendo a qualsiasi qualificazione e/o quantificazione istituzionale. Vivo insomma il paradosso di essere l’avvocato italiano che più di chiunque altro si sta battendo per una formazione effettiva, legittima e di qualità, eppure risulto sprovvisto di qualsiasi “credito”, atto a giudicarmi “idoneo” all’assolvimento dei miei obblighi di studio, da parte dell’Ordine di cui faccio parte.

 

  1. Inidoneità del sistema formativo a cogliere gli aspetti della contemporaneità.

Ho dovuto fare appello a tutte le mie energie, nervose e mentali, per concentrarmi e dedicare tempo alla scrittura di questa memoria difensiva. La mia formazione, i miei valori, mi impediscono di riconoscermi in una visione subordinata rispetto all’Ordine Forense. In altri termini, per inadeguatezza ontologica, sono inidoneo ad assoggettarmi di buon grado ad una autorità, salvo che io non la giudichi autorevole. L’autoritarismo, al contrario, provoca in me profondo disprezzo, che travalica quasi sempre in atteggiamenti di aperta sfida, di scherno, di noncuranza. La vicenda che vivo, per quanto attiene a questo procedimento disciplinare, è grottesca. Potrei sottoporre a questo Consiglio una memoria di centinaia di pagine, dilettarmi in un saggio di natura politica, ma avrebbe poco senso, anche perché la gran parte degli avvocati italiani non sarebbe pronta a comprenderne la portata.

Ciò che mi riporta al dovere di continenza, nelle motivazioni che oppongo a questo procedimento disciplinare, attiene dunque alla mia formazione di avvocato. Per quanto possa apparire autoreferenziale affermarlo, io infatti sono un avvocato, un buon avvocato. Attualmente la mia attività di aggiornamento e formazione obbligatoria passa attraverso una spaventosa mole di impegni, legati allo studio delle vicissitudini dell’Ordinamento Forense, che fanno del sottoscritto l’avvocato che in assoluto, in Italia, negli ultimi 4 anni, ha redatto e pubblicato più studi, articoli, saggi, proposte di regolamenti e statuti di chiunque altro. Per la verità, ad essere precisi, sono probabilmente l’avvocato italiano che ha contribuito al dibattito sulle sorti future della nostra professione più di tutti gli altri colleghi messi insieme. L’analisi del sito dell’associazione forense di cui attualmente sono segretario nazionale, Nuova Avvocatura Democratica, contiene centinaia di miei articoli e documenti. Su youtube, inserendo la query “candidatura Lucignano…”, è possibile reperire decine di video, prodotti e pubblicati dal sottoscritto, in cui mi occupo di tematiche di ogni tipo, connesse alla professione forense: governance; intelligenza artificiale; sistemi elettorali; aspetti disciplinari; funzione del linguaggio; natura delle associazioni forensi; natura dell’Ordine Forense; questioni afferenti alla contribuzione previdenziale; superamento della mutualità obbligatoria; sharing economy; allocazione del valore e del reddito all’interno della classe forense; studi sull’andamento del reddito all’interno della classe forense; sondaggi di opinione, da me strutturati, elaborati e diffusi, all’interno della classe forense; valore delle tecnologie nello sviluppo della professione forense; studi ed indagini sui punitive damages; professionalizzazione delle cariche onorifiche; legittimità delle operazioni editoriali del CNF, ecc. ecc.

Centinaia e centinaia di articoli, alcuni pubblicati da siti di diffusione giuridica noti all’avvocatura italiana (cito a titolo di mero esempio Altalex e La legge per tutti), documenti che mi hanno reso uno degli avvocati più attivi, anzi… senza alcun dubbio il più attivo, nel dibattito politico, giuridico e culturale legato alle vicende che toccano l’Ordine Forense italiano. Ho fatto più e meglio di chiunque altro, ho dedicato migliaia di ore allo studio, all’analisi, ad attività di propaganda politica. Sono stato relatore e moderatore in convegni di spessore e le mie relazioni sono state sempre pubblicate, in gruppi facebook afferenti a tematiche giuridiche, o sul web, principalmente attraverso il sito www.nuovaavvocaturademocratica.org.

Ebbene, in un’epoca in cui la conoscenza di acquisisce e si diffonde mediante i mezzi di comunicazione socialica, in un’epoca in cui il possesso di un personal computer consente di acquisire, veicolare, scambiare, elaborare, centinaia di nozioni alla settimana, questo Consiglio di disciplina crede davvero che io voglia assoggettarmi a prassi che mi impongono la “fisica” presenza in un luogo, allo scopo di “ricevere” formazione professionale? Trovo che il solo propormelo sia grottesco, ma il tentativo di impormelo è più che grottesco, è squallido. Io ho 39 anni, sono nato il 4 maggio 1978 e sono un avvocato. Sono vecchio. Alla mia età Mozart, Gesù di Nazareth ed Alessandro Magno erano già morti. Non ho né bisogno, né voglia, di andare a scuola di formazione, ritenendo mio dovere formarmi da solo, ogni giorno, attraverso uno sforzo intellettuale costante. Io studio ogni giorno della mia vita, cercando di imparare sempre cose nuove. Sono l’unico avvocato italiano che si sia preoccupato di tradurre dall’inglese i principali rapporti sugli ordinamenti giudiziari europei pubblicati negli ultimi quattro anni e sono uno dei pochissimi avvocati italiani ad averli letti in lingua originale. Ho fatto più studi io, sulla professione forense italiana, di  quanti tutti gli altri miei colleghi potrebbero fare, non in tre anni, ma in trenta. Ciò che so, ciò che scrivo, che studio, che argomento, è pubblico, pubblicato, verificabile per mezzo di una mera attività di ricerca e di buon senso. Non devo dare ulteriori prove di quanto alberghi nel mio cervello a chicchessia e certamente non devo acquisire “crediti formativi” per dimostrare a me stesso o all’Ordine Forense la mia attività di studio ed aggiornamento, costante ed altamente onorevole.

Non assolvo ai miei obblighi formativi imparando da qualcuno, ma studiando, al limite insegnando ciò che so, discutendone con i colleghi, riflettendo, preoccupandomi di elaborare strategie che consentano all’avvocatura italiana di uscire dalla crisi dell’avvocatura di massa. Io non sono un soggetto che debba acquisire formazione da altri avvocati. Semmai io sono un avvocato che elargisce formazione ad altri avvocati.

Voi e questo procedimento disciplinare rappresentate la preistoria della ragionevolezza e della dignità. Siete parti di un mondo morente, difendete obblighi pensati per sopravviventi, per avvocati solo di nome, atti a piegarsi all’irragionevole, a rifiutare l’attuale struttura del mondo. Il sapere viaggia sul filo, la sharing economy rende la conoscenza una merce di scambio dal valore sempre più residuale, mentre tutto ciò che ha generato reddito e valore, negli ultimi 70 anni, è stato travolto dalle innovazioni che hanno preso piede negli ultimi 5 anni. Io sono un uomo del mio tempo, che guarda al futuro. Non ho né voglia, né tempo, di prendere crediti formativi. Ho ben altro da fare.

 

  1. Epilogo. “Ed io solo son scampato a raccontarvela”.

Sabato, 27 gennaio 2018. Domani mattina, alle ore 9,30 in punto, Roger Federer andrà alla caccia del suo ventesimo “slam”. Lunedì, 29 gennaio, all’interno del parlamento italiano farò da moderatore ad un convegno in cui discuteremo di pensioni, due diligence e governance delle Casse di previdenza private e tanto altro. Forse il la Camera dei Deputati trasmetterà il convegno in diretta. Qualche collega mi ha invitato a non dare risalto a questo procedimento disciplinare. Qualcuno mi dice “pensaci, hai una figlia, hai famiglia”. Noi avvocati siamo così: studi legali con alle pareti le foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, manifestazioni in cui si esaltano le figure degli eroi civili, ma siamo terrorizzati se dobbiamo disobbedire ad una norma ingiusta e ridicola, rischiando un procedimento disciplinare. Siamo una categoria di coraggiosissimi vigliacchi.

Ho rispedito al mittente ogni tentativo di sottrarmi a questa farsa di procedimento disciplinare. Ho evitato ogni eccesso di spavalderia, perché il mio codice d’onore mi proibisce di svilire il valore di un gesto coraggioso. Ritengo che questo procedimento disciplinare debba concludersi con una sentenza che riconosca la mia assoluta inidoneità a far parte dell’Ordine Forense. Ogni sanzione lieve, o grave, persino la sospensione, sarebbero inadeguate a descrivere il mio rapporto con l’Ordine Forense. L’unica sanzione ammissibile per un avvocato come me è la radiazione. Io non faccio parte di quella schiera che ritiene legittima una norma che esenta dalla formazione obbligatoria i vecchi, ritenendoli “di diritto”, più “formati” dei giovani. Avrei potuto fare un ulteriore ed autonomo motivo di doglianza di una simile distorsione, ma avrei dovuto spiegare, argomentare, dimostrarvi che la legge professionale forense è stata scritta da vecchi ignoranti, che nulla sanno del presente e che hanno colpevolmente ignorato il futuro, al solo scopo di lasciare, all’interno dell’Ordine Forense, una pletora di vecchi padrini e rottami, liberi di continuare a fare i propri comodi, utilizzando le istituzioni forensi come “Cosa Nostra”.

Non ho intenzione di farlo. Non ho intenzione di dedicare troppo tempo alla scrittura ed alla correzione di questa memoria. La cosa mi tedia, la mia logica fuzzy mi porta ad ambire più all’imprecisione funzionale che alla perfezione stilistica. So troppe cose per poter dedicare troppo tempo a questa cosa.

Tempo fa scrissi, a proposito di uno dei tanti esposti disciplinari a mio carico, mossi da soggetti a cui interessa la mia radiazione dall’Ordine Forense, di non avere paura. E’ esattamente così. Ma che uomo sarei, che avvocato sarei, se avessi paura delle conseguenze di questo procedimento? Che avvocato sarei, se avessi paura di cercarmi un altro lavoro, una volta impossibilitato ad esercitare la professione forense? Io non ho paura, non temo le conseguenze delle mie scelte.

Avrei potuto parlare del livello “formativo” dei Consiglieri dell’Ordine che dovrebbero garantire la “mia” formazione, potrei sfidare qualsiasi mio collega a sottoporci ad una prova, su un argomento giuridico qualsiasi, attinente alla nostra professione, certo che, in qualsiasi campo, con un tempo adeguato alla preparazione di entrambi, ad esempio, che so, una settimana, risulterei il migliore, qualsiasi sia il terreno dello scontro. So di me stesso e questo è ritenuto intollerabile da un Ordine che ha mirato alla costruzione di un avvocato “diminuito”, zittito dalla minaccia deontologica, asservito ad istituzioni forensi che sono politiche, maneggiano i soldi, fanno le norme, le disfano, le applicano e disapplicano, tutto secondo i comodi di chi comanda. Il tutto condito dal ruolo di giudice della deontologia, in barba a secoli di storia della cultura democratica e liberale. Vado di fretta, non ho tempo, non ho voglia, non intendo diffondermi oltremodo in questo genere di vicende.

Ho fornito con questa memoria tutti gli elementi atti a giudicare qualsiasi provvedimento a mio carico, semplicemente ridicolo. Potete radiarmi, sospendermi, farmi la predica, assolvermi, ma io continuerò a pretendere che la formazione professionale, se obbligatoria, venga affidata ad un sistema di verifiche legale e decoroso e non a questa buffonata dei “punti latte”, alias “crediti formativi”, che rifiuto anche solo di considerare.

Per quel che mi riguarda, l’Ordine Forense, i crediti formativi, se li può ficcare lì dove non batte il sole.

#Rogertiamo #Selentistimo #Edwigetivenero

Frittole, millequattrocento, quasi millecinque

Avv. Salvatore Wolfgang Bluto Lucignano

 

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