IL DANNO DINAMICO-RELAZIONALE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CASSAZIONE

29 Marzo, 2018 | Autore : |

La sentenza n. 7513 del 27 marzo 2018 della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione contiene una preziosa sintesi degli approdi giurisprudenziali sul tema del danno alla persona, nelle sue varie componenti, con particolare riguardo al danno dinamico-relazionale.

La Corte Suprema ribadisce il consolidato orientamento pretorio secondo il quale “l’ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale” e “il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomenologicamente) unitaria”.

Nel caso esaminato dalla Corte si discorre della risarcibilità di quel dannonon patrimoniale, conseguente ad un sinistro stradale, consistente nel ritiro sociale del danneggiato (chiusura in casa e interruzione dei rapporti interpersonali da lui precedentemente intrattenuti) e nella rinuncia alle attività da lui in precedenza svolte nel tempo libero (cura della vigna e dell’orto).

La Cassazione ricorda che tale danno, qualificato “danno dinamico-relazionale” (altrimenti detto “danno alla vita di relazione”),comparve per la prima volta nel D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, il quale stabilì che l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro dovesse indennizzare ildanno biologico, delegò il Ministro del lavoro ad approvare una “tabella delle menomazioni”e dispose che in tale tabella dovessero trovare considerazione gli “aspetti dinamico-relazionali”.

Coerentemente con tale impostazione la normativa secondaria delegata (D.M. 3 luglio 2003) previde la possibilità di risarcire, nell’ambito del “danno biologico”, la menomazione incidente in maniera apprezzabile su “particolari aspetti dinamico-relazionali personali”, dando la stura alla possibilità di personalizzare il danno determinato secondo criteri tabellari.

Ebbene, secondo gli Ermellini, la lesione della salute già normalmente comporta la compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane (“nessuna esclusa: dal fare, all’essere, all’apparire”), sicché è essa stessa un danno di tipo dinamico-relazionale.

La lesione della salute può avere “conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità”, oppure “conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili”.

Solo in quest’ultima ipotesi, che dev’essere concretamente provata, è ammissibile una maggiorazione dell’entità pecuniaria del danno alla salute previsto dalle tabelle di liquidazione utilizzate.

Di qui la conclusione che la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari.

Viceversa resta sempre ammissibile il risarcimento ulteriore “dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)”.

Nel caso esaminato dalla Corte il pregiudizio lamentato, consistente nella “perduta o ridotta o modificata possibilità di intrattenere rapporti sociali in conseguenza di una invalidità permanente”, in conformità a consolidata giurisprudenza, viene ritenuta una conseguenzacomune della invalidità grave accertata (nel senso che qualunque persona affetta da una grave invalidità non può non risentirne sul piano dei rapporti sociali) e, pertanto, non meritevole di una maggiorazione del risarcimento del danno biologico liquidato.

Avv. Donatello Genovese

 

 

 

 

 

 

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