MEDIOCRAZIA: I VANTAGGI DELL’ESISTENTE

2 Novembre, 2016 | Autore : |

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La mediocrazia è il governo dei mediocri e delle mediocrità. Troppe volte, all’interno del dibattito politico, si è preda di una semplificazione, che rappresenta la selezione dei soggetti dirigenti come il frutto maturo, orientato verso il meglio, di un processo di qualificazione. La realtà, nei gruppi di massa, è molto diversa. I meccanismi che premiano l’affermazione individuale non sono necessariamente concepiti per favorire le eccellenze. Al contrario, spesso è proprio la mediocrità l’elemento che consente di emergere.

 

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Laddove creatività, indipendenza, anticonformismo, possono destabilizzare gli equilibri, non di rado si preferisce premiare il servilismo e la mediocrità di chi non può modificare l’esistente. La conservazione di ciò che è diventa così un obiettivo facilitante per chi ambisce ad inserirsi in un sistema, perché intercetta un bisogno quasi istintivo di chi comanda: assicurarsi il comando quanto più è possibile, allontanando le novità e gli elementi non controllabili. Si avverano così alcuni dei paradossi che al profano possono apparire più inspiegabili, ma che invece sono il sale della mediocrazia: l’inefficienza, l’assenza di qualità, diventano elementi fondamentali per l’emersione e la cooptazione nei sistemi di controllo sociale.

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Naturalmente il prezzo della mediocrazia è un basso livello di efficienza e la difficoltà di realizzazione dei miglioramenti nella gestione delle inefficienze. L’effetto combinato di tutte le caratteristiche di un sistema sociale mediocratico è in definitiva il vantaggio dell’esistente, che stabilisce il trionfo di una concezione Hegeliana della realtà. Si verificano in pratica l’affermazione e la legittimazione di ciò che è, a discapito di tutto ciò che di migliore potrebbe essere. L’innovazione, la meritocrazia, soccombono di fronte al rassicurante perdurare di automatismi già rodati, che conferiscono stabilità ai sistemi.

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La stabilità, ovvero la necessità che non ci siano variazioni, diventa così un mito dotato di un potere proprio. Il governo cede il passo alla governance e i riformatori si scontrano con un’esigenza che viene spacciata dai sistemi come prevalente, e bisognosa di primeggiare su ogni altro obiettivo: la conservazione dell’equilibrio raggiunto. Grazie a tali elementi, la qualità degli atti individuali e collettivi viene degradata a strumento al servizio del mantenimento di un presunto ordine. L’equilibrio, sia pure esso instabile, precario, ottenuto per mezzo di inefficienze che lo rendono una parvenza e nulla più, diviene un totem, un Moloch a cui sacrificare ogni cosa che non rientri nel rassicurante paniere di ciò che già esiste.

 

Quando la rassicurazione si tinge di connotazioni morali, per cui il bene tende ad identificarsi con la continuazione e conservazione della realtà, per come essa si manifesta ed indipendentemente dalla sua bontà, la mediocrazia raggiunge i suoi effetti più deteriori: creare un gap incolmabile tra il giusto e l’esistente, privilegiando ciò che già esiste ed immolando ad esso tutto ciò che di buono, di migliore, di più efficace, potrebbe essere.

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