Verso il Congresso Nazionale dell’Avvocatura. Il punto dell’Avv. Salvatore Lucignano

3 Luglio, 2016 | Autore : | Tags: ,  

Verso il Congresso Nazionale dell’Avvocatura. Il punto dell’Avv. Salvatore Lucignano, tra luci e ombre di un momento centrale della vita dell’Avvocatura italiana, in forte crisi.

Caro Salvatore, gli avvocati italiani si riuniranno a Rimini ai primi di ottobre per il XXXIII Congresso Nazionale dell’Avvocatura. La mia è una provocazione abbastanza seria: a cosa serve?

Risponderti con onestà intellettuale non è facile, sintetizzare il tema lo è ancora meno. Dovrebbe servire, nelle intenzioni di alcuni, a creare finalmente un soggetto forte, che possa portare avanti le istanze degli avvocati nella e per la società italiana e dovrebbe servire, secondo altri, a parlare della crisi che vive la professione.

Perché un cittadino o un giornalista, dovrebbe provare interesse per questo Congresso?

In un paese democratico e avanzato l’avvocatura dovrebbe rivestire un ruolo primario di leadership intellettuale nel campo dei diritti positivi, ma soprattutto dovrebbe contribuire, sul piano dell’elaborazione giuridica, a disegnare gli istituti ed i meccanismi di governo della società futura. La sapienza settoriale e tecnica in materia di diritto dovrebbe portare il giurista ad un ruolo rispettabile e rispettato, figlio di una costante dialettica con il potere politico. In questo senso il Congresso Nazionale degli avvocati riguarda tutti i cittadini, perché incide su un settore, quello della giustizia, di vitale importanza per il paese.

Eppure questo ruolo a cui fai riferimento, perlomeno negli ultimi anni, non pare esserci stato. Sei d’accordo?

Si e no. Nel 2014 parlai di un’avvocatura “stampella silente” della mala politica. Oggi forse la situazione è cambiata in peggio. Gli avvocati hanno ancora un forte interesse ad assumere incarichi e a misurarsi nelle competizioni elettorali politiche e partitiche che si svolgono in Italia, ma esercitano un peso scarsissimo nell’elaborazione di istituti e norme progressive, e non riescono ad incidere, nonostante siano ancora in numero cospicuo all’interno del Parlamento.

Perché questo apparente paradosso? Come mai la famosa schiera di avvocati parlamentari non riesce a portare avanti i progetti a cui fai riferimento?

A mio parere, a causa di una scarsa cultura politica, che impedisce agli avvocati di sentirsi parte di una categoria con obiettivi di fondo comuni. In questo senso, per tornare alla tua domanda iniziale, il Congresso Nazionale potrebbe essere un momento importantissimo, se solo servisse a far nascere l’avvocatura, dagli avvocati.

Cosa intendi dire? Ne abbiamo già parlato: tu non credi ci si possa riferire all’avvocatura come ad un unicum, giusto? E’ questo il senso della tua battuta?

Già, è così. Gli elementi perché una categoria, una corporazione, possa riconoscersi in un soggetto politicamente rappresentativo del sentire dominante, sono di due tipi: culturale e strutturale. A noi avvocati, in questa fase storica, mancano entrambi: la gran parte di coloro che agiscono in politica si sente legata da un senso di appartenenza, che io trovo francamente puerile e ridicolo, ad espressioni particolaristiche quali le associazioni e gli Ordini Territoriali. Questo porta gli avvocati a non aver dedicato attenzione ed elaborazione normativa alla creazione di un soggetto politico unitario, capace di dare alla categoria una sola voce, forte e coesa. Fino a quando non si creerà questo soggetto, parlare di avvocatura in Italia sarà una erronea approssimazione e sarà più corretto parlare di avvocati.

Come è possibile che proprio gli avvocati, che dovrebbero godere di familiarità con la legge e con le tecniche di elaborazione che consentano alle norme di essere efficaci, non abbiano risolto, stando a quel che dici, questo problema strutturale?

Come ti ho già detto le ragioni sono molteplici. Gli avvocati italiani, in genere, non sanno scrivere norme di legge e regolamenti. Ovviamente esistono fior di giuristi anche tra gli avvocati, ma pochi si dedicano ad un’attività di elaborazione normativa. Sembra che l’avvocato ritenga che la creazione di norme che diano sostanza al diritto non sia un suo problema, e questo si riscontra in primo luogo osservando la professione forense al suo interno. A mio parere si tratta di un drammatico errore di prospettiva.

Cosa occorre fare? Credi davvero che l’avvocatura, o meglio, gli avvocati, possano tornare a dare un contributo di peso alle trasformazioni di cui il paese sembra avvertire il bisogno?

No, se resteremo solo avvocati. Certamente si, se diventeremo avvocatura. Quando e se avremo costruito il governo politico unitario della corporazione, potremo occuparci efficacemente sia degli aspetti normativi che riguardano la professione forense ed il comparto giustizia, sia di quegli aspetti dell’evoluzione giuridica che necessitano della fantasia e della visione dei migliori avvocati per essere anticipati e regolati, prima che il loro verificarsi in concreto, nella società, travolga gli individui, con effetti potenzialmente negativi.

A questo punto ti chiedo quali caratteristiche dovrebbe avere secondo te questo governo politico degli avvocati, a cui mi pare aspiri con ansia. Puoi parlarcene, possibilmente in modo sintetico?

Come ho già avuto modo di dire ai lettori del vostro giornale, gli avvocati italiani ignorano le basi della democrazia rappresentativa al proprio interno. E’ un dramma che appare sempre più intollerabile, per molti di noi. I nostri regolamenti elettorali sono illegittimi, i nostri organismi rappresentativi prevedono spesso membri di diritto. L’elezione diretta di un parlamento ristretto, che selezioni un ceto politico colto e capace, trasferendolo in un governo della categoria di alto spessore, è avversata da molti, per ragioni ben poco nobili. Contro questo stato di cose occorre che i giovani avvocati italiani si battano, per dare alla professione forense un futuro meno opaco di quello vissuto in questi anni.

Tu sarai impegnato in questo processo?

Ovviamente, a pieno regime. Fare politica non vuol dire avere una poltrona da mostrare ai propri congiunti, ma fare elaborazione culturale e normativa, proporre analisi e norme puntuali, costruire strutture e centri di dibattito. Mi occupo della mia professione ogni giorno, da anni, e continuerò a farlo, indipendentemente dall’assunzione o meno di responsabilità di governo, che ovviamente mi auguro di poter ottenere, a seguito della fiducia dei miei colleghi.

Dunque tu hai fiducia nella politica e nella rappresentanza, come strumento per operare un cambiamento. Nella società italiana invece assistiamo anche a spinte cosiddette “antipolitiche”. Che ne pensi?

Tutto ciò che si confronta, che chiede il consenso, che mira alla democrazia ed alle idee per mutare la realtà, anche se con visioni antagoniste rispetto al sentire dominante, è politica. La vera antipolitica è la cattiva politica. Credo che presto questo vocabolo, abusato e strumentalizzato, perderà qualsiasi importanza nella società italiana.

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