RESOCONTO DEL XXXIII CONGRESSO DA DUE TESTIMONI

22 Dicembre, 2016 | Autore : |

Il nostro socio Michele Iapicca, insieme al delegato congressuale Giuseppe Magarò, ha redatto questo elaborato, che racconta le premesse e lo svolgimento del XXXIII Congresso Nazionale Forense. Lo pubblichiamo nella forma in cui ci è pervenuto. Una preziosa testimonianza sui fatti di Rimini, che ne mostrano la vera e poco nobile natura. 

 

 

Carissimi, nella qualità di vostri delegati, sebbene con un po’ di ritardo, abbiamo l’obbligo di informarvi sui gravi fatti accaduti al XXXIII congresso nazionale forense di Rimini.

Vi anticipiamo, prima di fare una breve premessa su come funziona(va) la rappresentanza dell’avvocatura fino allo scorso 8 ottobre (premessa che vi consentira’ di capire ancor di più i gravi abusi subiti), che i potenti, gli ordini più grandi, il CNF, i più ricchi, i prepotenti, durante questo congresso hanno imposto in modo a dir poco dittatoriale le loro scelte elettorali, escludendo dal voto le mozioni contrarie ai loro interessi, ed imponendo una votazione con strumenti telematici che, quando testati, sono risultati non funzionanti. La ‘sceneggiata congressuale’, è ‘andata in onda’ al Palacongressi di Rimini, ove per montare questa ‘farsa’ il CNF ha fatto spendere a tutti noi avvocati diverse centinaia di migliaia di euro.

Ma andiamo per ordine, cominciando da una premessa necessaria, che servirà, si ripete, per far capire a tutti, anche a chi non si è mai interessato di politica forense, come funziona la rappresentanza dell’avvocatura in Italia. Non vogliamo annoiarvi, ma seguendo con attenzione la parte che segue, comprenderete in pieno la gravità di quanto accaduto ai nostri danni.

Premessa.

Per chi non lo sapesse, il Congresso Nazionale Forense (da non confondere con il Consiglio Nazionale Forense o CNF) è la massima assise dell’avvocatura italiana, organo deliberativo previsto e disciplinato dall’art. 39 della legge professionale vigente. Il Congresso, che viene convocato ogni tre anni, è composto da avvocati ‘delegati’ che voi avete votato nel numero di 1 ogni 300 avvocati (oltre ai Presidenti circondariali che ne sono membri acclamati o di diritto – quindi non scelti dagli avvocati – NDR tenete a mente questo particolare), chiamati a deliberare su proposte riguardanti i temi della giustizia. Durante i lavori congressuali i delegati possono formare (ossia scrivere) mozioni politiche (cioè proposte normative in favore della giustizia) e statutarie (cioè proposte di modifica dello statuto di funzionamento del congresso) che, se sottoscritte da almeno 50 delegati e depositate entro un certo orario presso la segreteria mozioni politiche e statutarie, possono essere sottoposte alla votazione di tutti i delegati del congresso ed approvate con le maggioranze di statuto.

Sapete tutti che la rappresentanza istituzionale dell’avvocatura è affidata al Consiglio Nazionale Forense (che detiene anche il potere giurisdizionale forense) che è ente pubblico non economico dipendente dal Ministero della Giustizia (all’interno del quale ha sede).

La rappresentanza politica, invece, cioè il potere di attuare le mozioni congressuali, è affidata al cosiddetto organismo unitario, cioè all’organo che il congresso ed i suoi delegati eleggono (tra gli stessi delegati scelti da voi avvocati ed entro la fine del congresso) ogni tre anni.

Prima ancora che la legge professionale ne imponesse la costituzione, o meglio ne ratificasse l’esistenza (di questo organismo unico di rappresentanza politica – con l’art. 39 u.c. della Legge 247/12), l’avvocatura, sentendo il bisogno di distinguere la rappresentanza politica dalla rappresentanza istituzionale, durante i congressi del 1995 e del 1996, aveva già fondato l’OUA (Organismo Unitario dell’Avvocatura), che aveva proprio il compito, poiché’ organismo indipendente, autonomo ed in posizione di terzietà rispetto alle altre parti, di interloquire ed interagire con il governo e le altre istituzioni, per il bene dell’avvocatura. Tanto avveniva nella consapevolezza che il CNF, in quanto ente pubblico non economico avente sede all’interno del Ministero della Giustizia, quindi troppo influenzabile dal governo, non potesse serenamente attuare i deliberati congressuali né parlare con le istituzioni.

Ed infatti in questi anni il CNF ha dato numerose dimostrazioni di questa sua ‘commistione’ ministeriale, ad esempio, pubblicando illegittimi regolamenti sulle elezioni dei consigli locali, sulle specializzazioni, sui requisiti per la permanenza nell’albo che, puntualmente, proprio l’OUA (e qualche attenta associazione forense) ha impugnato e fatto annullare con l’aiuto della Giustizia Amministrativa.

Capite bene che per far sì che due organi siano veramente distinti ed indipendenti è opportuno assicurarsi che i membri dell’uno non possano, neanche indirettamente, entrare nell’altro. La garanzia di imparzialità di questo Organismo (OUA) risiede(va), quindi, nella presenza, al suo interno, di membri non appartenenti né al CNF né agli ordini circondariali. Ed infatti il consigliere e i membri CNF (cosi come i membri della Cassa e dei consigli di disciplina) non potevano essere eletti in OUA. Solo un organismo composto da membri dell’avvocatura di base (cioè da avvocati che vediamo tutti i giorni in tribunale e non da politici o ‘castari’) poteva assicurare il bene della professione.

Proprio a causa di questa sua autonomia, indipendenza, terzietà ed imparzialità, l’OUA finiva per non attuare molti deliberati congressuali (poiché’ ritenuti non favorevoli per l’avvocatura) ed anzi procurava fastidi al CNF (ad esempio con le impugnazioni dei regolamenti), che, di conseguenza reagiva, soffocandolo dal punto di vista economico/finanziario: l’OUA, infatti, molto spesso è stato privato di fondi ed i relativi componenti erano costretti, per riunirsi nelle parti più disparate d’Italia, a considerevoli esborsi personali. Insomma, si era aperta una guerra che alla fine ha trasformato l’OUA in un vero e proprio fantasma.

Questi sono alcuni dei motivi che hanno di fatto decretato ‘il fallimento di questo organismo unitario’ probabilmente perché troppo contrario agli indirizzi CNF.

E se un organismo (OUA) è così ‘ribelle’ da risultare troppo in disaccordo con un altro più potente (CNF), che si fa?

Semplice: si distrugge l’organismo ribelle.

Per portare a termine questo premeditato piano, Il presidente del CNF, Andrea Mascherin, ha utilizzato uno strumento non previsto da alcuna legge, regolamento e/o statuto, cioè una riunione spontanea dei Presidenti circondariali che ha chiamato ‘Agorà dei Presidenti’.

Durante una di queste riunioni lo stesso Mascherin si è attribuito uno stipendio di 90mila euro (pensando anche a tesoriere, segretario e consiglieri ai quali ha assegnato altre corpose indennità da 70 mila a scendere).  

Il Presidente  Mascherin ha maturato la decisione che l’avvocatura doveva avere un giornale in edicola, un quotidiano, che in effetti è un riciclo del più famoso e fallimentare Garantista, poi chiamato ‘Il Dubbio’ e condotto dallo stesso direttore del Garantista, Piero Sansonetti (dalle nostre parti famoso per avere accompagnato alla morte diversi progetti editoriali). Grazie a questa ‘fantastica’ iniziativa editoriale, che di ‘dubbio’ ha solo la liceità (secondo la legge sull’editoria, infatti, gli enti pubblici non possono avere azioni o quote di società editrici di giornali) i nostri ordini che poi finanziano il CNF hanno speso circa 1,5 milioni di euro (per un quotidiano pieno di errori che parla di sport e cronaca… e poco di avvocatura). Attualmente il Dubbio ha un bilancio in rosso, così come quello del suo padrone indiretto, il CNF.

Ma ritorniamo a noi ed al piano per distruggere l’OUA.

Per farlo si doveva predisporre un nuovo Organismo, con uno statuto nuovo, magari che non prevedesse le incompatibilità con i presidenti ed i consiglieri degli ordini circondariali… perché nel frattempo, con Agorà, con le prorogatio dei CDO, gli stipendi ed i benefici vari erogati ai più potenti, Mascherin si era assicurato il voto di tanti presidenti e consiglieri su questa ‘futura iniziativa abrogativa dell’OUA’.

In vista del XXXIII Congresso Nazionale forense, al quale si è dato il titolo di ‘Giustizia senza processo?’ (titolo sul quale si è avuto almeno il buon senso di mettere il punto interrogativo, perché’, sinceramente, dire ad una platea di avvocati che la giustizia si ottiene senza un processo sarebbe come dire ai medici che la gente può guarire senza ospedali, o agli ingegneri che i ponti si costruiscono senza strumenti) il buon Mascherin incarica Sergio Paparo (ex segretario OUA e Presidente del CDO di Firenze) a redigere una mozione statutaria (denominata, appunto, proposta Paparo).

Utilizzando lo strumento non previsto da alcuna legge, regolamento e/o statuto, cioè l’Agorà dei Presidenti, Mascherin prima di arrivare al congresso, si assicurava sia le 50 firme sulla mozione Paparo (nel frattempo trasformata in mozione Agorà perché’ modificata dai presidenti) che un plebiscito (ovviamente riferito a Presidenti partecipanti al congresso nella loro qualità di membri acclamati e non eletti – ed ai consiglieri degli ordini eletti al seguito dei presidenti) sulla sua approvazione. Infatti tutti i presidenti qualche giorno prima del congresso, si riunivano a Taormina per discutere sulla abrogazione dell’OUA, in favore della costituzione di un nuovo organismo, denominato OCF, acronimo di Organismo Congressuale forense. Ma con quale autorità poche persone possono decidere le sorti dell’intera avvocatura? Dal punto di vista giuridico, poi, vi pare il caso di portare in un congresso che ha altro oggetto, una modifica statutaria così forte da costituire una vera e propria abrogazione di un Organismo (OUA) per costituirne un altro (che poi si è chiamato OCF)?

Con queste premesse, e con questi presupposti, arriviamo ai gravi fatti di Rimini.

Il palacongressi è bellissimo, grandissimo e lussuosissimo. Sarà stato quindi conseguentemente carissimo/costosissimo. Vediamo se riuscite ad immaginare quanto. Organizzazione stellare: hostess e steward a perdita d’occhio, bar dislocati ovunque per dar gratis caffe e dolcini, continuamente. All’interno sono montati stand di cassa forense, de ‘il dubbio’ (sempre vuoto) e di tutti i maggiori editori di libri e supporti per avvocati, pronti a regalare qualsiasi cosa. Per pranzo si offre da mangiare e da bere a tutti, a volontà. La sala congressi è gigantesca e maestosa, oltre che ultratecnologica (ma vedremo che la tecnologia era solo un bluff).

Compreso nel pacchetto del congresso c’era anche una cena di gala a San Patrignano oppure cena a tema felliniana con concerto di Ezio Bosso (fantastico). Da, e per, il palacongressi, da aeroporti e stazioni partivano continuamente navette, con tanto di logo del XXXIII congresso.

Ad ogni delegato veniva regalata una sacca con all’interno il materiale necessario a seguire i lavori. Nei giorni delle votazioni, a tutti i delegati veniva consegnato un libro ‘rilegato’ contenente tutte le mozioni da votare. A proposito: giorno 7 si votava per le mozioni statutarie e giorno 8 per quelle politiche.

Quindi il giorno 6 ottobre il movimento dei delegati era frenetico: erano tutti impegnati a raccogliere le firme per le mozioni statutarie. Ed infatti, al fine di contrastare la mozione Paparo i cui voti erano già stati raccolti con lo strumento illegittimo dell’Agorà qualche settimana prima, tutti (associazioni, aiga, oua, o singoli delegati) avevano preparato altre mozioni statutarie. Molte proposte erano mediane e quindi più democratiche (ad esempio quella di Movimento Forense) perché’ abolivano solo in parte o in una piccola percentuale le incompatibilità dei membri OUA, cercando (democraticamente) di inserire ‘le esperienze dei consiglieri e dei presidenti’ nell’organismo unitario. Oltre alle mozioni statutarie complete, poi, c’erano anche le cosiddette mozioni ‘paracadute’, cioè modifiche di articoli della Paparo che ne avrebbero assicurato una maggiore democraticità nella ‘denegata’ ipotesi di approvazione.

Peccato però che queste mozioni non sono state sottoposte a votazione.

Si, avete letto bene.  Non sono state sottoposte alla volontà dell’assemblea dei delegati, per volontà della commissione mozioni statutarie di cui faceva parte lo stesso Paparo. Quindi, giusto per ribadirlo, Paparo, autore dell’unica mozione statutaria votabile, si trovava nella commissione che decideva quale mozione statutaria sottoporre all’approvazione dell’assemblea congressuale.

Complimenti. Qualcuno ha detto che hanno tenuto un atteggiamento da Gestapo o da dittatori. A voi la scelta sul migliore aggettivo.

Nel frattempo però, siccome ci considerano degli emeriti imbecilli, la mozione Paparo, magicamente, acquisiva il nome di mozione Vaglio, dal nome di uno dei suoi sostenitori, il presidente del cdo di Roma, Mauro Vaglio che poteva contare al suo seguito quasi 50 delegati (solo lui) pieni di incompatibilità con il vecchio OUA. Ripeto, loro sono più furbi, mentre noi siamo cretini, perché’ assolutamente nessuno si era accorto che quella dal nome Vaglio, altro non era che la mozione Paparo. Pensate che poi lo stesso Paparo (sebbene membro della commissione mozioni statutarie) è salito sul palco a sponsorizzare ‘ansimando e sudando 7 camicie’ con lucido delirio di onnipotenza, la sua stessa mozione (che però era chiamata Vaglio). Tutto veniva fatto per confondere le idee, per recuperare anche i voti più disparati e convincere tutti che l’OUA non serviva a nulla… ma che però se ne doveva fondare un’altra, con membri appartenenti o dipendenti dal CNF e dagli ordini distrettuali.

Quindi tutte quelle firme raccolte per le altre mozioni statutarie non sono servite a nulla. Quel librone rilegato contenente tutte le mozioni statutarie consegnato in oltre mille copie a tutti i delegati votanti, si sarebbe potuto evitare; ma tanto a chi frega se si perdono soldi: sono nostri, mica loro.

Ci viene detto, quindi, di ritirare i telecomandi per votare SOLO LA MOZIONE PAPAR… ehm VAGLIO. Si tratta di un aggeggio bianco, che pare un incrocio tra una calcolatrice ed un vecchio telefono Alcatel. Sul megaschermo da 10mila pollici scorrono le istruzioni per votare: tasto 1 per approvare, tasto 2 per rigettare. Dopo aver premuto il tasto desiderato, sul display del telecomando sarebbe dovuta apparire la scritta ‘received’.

Si passa quindi alla prova. Dalla regia del congresso ci chiedono di premere il tasto 1. Risultato? Quasi alla metà dei telecomandi appariva una X sul display. All’altra metà non compariva il messaggio received. Sul megaschermo apparivano i risultati di questa prima votazione di prova, con addirittura 200 astenuti!!!

Si passa alla prova numero 2. Dalla regia ci dicono di attendere 60 secondi dopo aver selezionato la scelta (tasto 1 o 2), termine entro cui sarebbe dovuto apparire il messaggio received. Ma il risultato è lo stesso.

Arriviamo alla terza prova. Questa volta ci dicono di aspettare 120 secondi dalla pressione del tasto 1. Ci chiedono di pigiare solo il tasto 1. Ma il risultato anche questa volta è sballato: esce fuori qualche tasto 2 e tanti, tantissimi astenuti.

Dalla regia ci chiedono di stare tutti ‘vicini vicini’, al centro del palco, perché’ sennò i telecomandi non ‘prendono la linea’. Stavolta proviamo a pigiare tutti il tasto 2, muovendo il telecomando in aria come facevamo qualche decennio fa quando eravamo alla ricerca di una cella GSM, ma il risultato non cambia. Ci sono sempre centinaia di astenuti e qualche altro centinaio di tasti 1 incomprensibilmente pigiati.

Quindi, il sistema non funzionava, ragion per cui Mascherin ci annunciava che stavano stampando le schede cartacee, per votare in modo tradizionale.

Però, miracolo dei miracoli, dopo che sul palco intervenivano tutti (per usare le parole di un ‘delegato’, intervenivano paperi e papari), ma proprio tutti (lasciando l’ultima parola alla difesa della Paparo) dalla regia ci dicono che i telecomandi funzionano, e senza provarne il corretto funzionamento, senza che vi fosse stato accertamento sulla effettiva presenza delle maggioranze di statuto, ci chiedono di votare  per la Paparo… cioè per la Vaglio.

Giova ricordare che i precedenti tentativi di voto avevano dato risultati assurdi.

E indovinate com’è finita? L’OUA è stata abrogata. Bene, bravi!!! I grandi Presidenti di Roma, Milano, Genova e Torino esultano. L’OUA è morto. È stato assassinato dai dittatori e dalle contrattazioni di pochi oligarchi che vogliono distruggere i processi per consentire ad Orlando di dire che una causa dura 367 giorni.

Non diciamo fesserie. E’ stato tutto ripreso dalle telecamere del congresso. I fatti sono accaduti sotto gli occhi di oltre 1000 testimoni.

Delle altre mozioni ‘non si deve parlare’ ed infatti non se n’è parlato. Delle mozioni paracadute nemmeno. W la democrazia.

Arriviamo subito all’epilogo.

Ultimo giorno, 08/10, che secondo il programma, era pienamente dedicato al voto delle mozioni politiche.

Al nostro arrivo ci viene, come al solito, consegnato un libro rilegato contenente tutte le mozioni politiche raccolte dai delegati. Con gran stupore, però, notavamo come all’interno del libro non fossero trascritte alcune mozioni, che sebbene regolarmente sottoscritte dai delegati, sarebbero state in grado di ‘toccare’ gli interessi dei potenti (ad esempio quella sui ‘gettoni del CNF’ e sulla liquidazione del giornale ‘Il dubbio).

Il presidente della relativa commissione spiegava che le dette mozioni, benché regolarmente sottoscritte da 50 delegati e tempestivamente depositate presso il competente ufficio, non potevano essere sottoposte a pubblica approvazione, poiché lontane dall’oggetto del Congresso (che ricordiamo a tutti essere ‘Giustizia senza Processo’ … ma con il punto interrogativo). Ovviamente molti colleghi delegati facevano presente al presidente che nell’oggetto del congresso non poteva rientrare neanche la discussione sulla abrogazione dell’OUA, ma le osservazioni restavano lettera morta, anche perché il CNF ha mostrato prepotenza oltre ogni limite in questa tornata congressuale.

Non potendo manifestare attivamente contro le prepotenze subite, per l’assenza di coordinamento con gli altri ‘dissidenti’, non ci restava, quindi, che tirarci fuori da questa farsa. Sarebbe stato, infatti, inutile continuare il congresso, recitando la nostra parte, buoni buoni, e facendo finta di spiegare all’assemblea le nostre due mozioni politiche (visibili sul sito del congresso – sezione mozioni – mozioni n. 56 e 57), dopo gli abusi subiti.

Al CNF piace ‘vincere facile’. Al CNF piace discutere solo le mozioni che non sono contrarie al ‘suo regime’, perché di regime si deve parlare quando ai partecipanti viene ‘chiusa la bocca’ impedendo di votare mozioni alternative sebbene ritualmente depositate (cioè le mozioni statutarie del 08/10), nonché eliminando dalla discussione le mozioni che avrebbero eliminato i benefici e le guarentigie dei potenti (come è avvenuto il 08/10 con l’esclusione delle mozioni politiche sui gettoni e su il dubbio).

Sul palco quindi abbiamo esternato la nostra volontà di non discutere le mozioni, in segno di solidarietà ai colleghi ‘censurati’. Abbiamo poi invitato il congresso a continuare anche senza di noi, perché le precedenti mozioni venivano votate senza i telecomandi (probabilmente perché, vista l’esperienza del giorno prima, non avrebbero funzionato), ma ad alzata di mano… peccato però che alzavano la mano anche soggetti non abilitati al voto, quali congressisti, ospiti, giornalisti, ecc.

Questo è quanto accaduto al XXXIII Congresso. La ‘telecronaca’ vi è stata offerta da delegati liberi, non vincolati a poteri, che ancora oggi hanno la nausea per le prepotenze subite.

La narrazione, però ha un altro scopo: mira a farvi riflettere. Vale la pena rimanere fuori dalla politica forense?

Vogliamo solo che da oggi in poi tutti siano informati su ciò che può succedere se si continua a tollerare l’azione del (pre)potente.

Tutto questo è accaduto solo perché, alla fine, o per mancanza di tempo, o perché siamo troppo assorbiti dai problemi di tutti i giorni, abbiamo trascurato di curare i nostri interessi, veicolando i nostri voti agli amici, ai colleghi simpatici, o ai parenti, pur se candidati al consiglio senza progetti e senza programmi.

Adesso saremo costretti a subire l’azione del CNF e dell’OCF per tre anni, assistendo in silenzio alla proliferazione di nuove ADR che probabilmente a noi porteranno solo svantaggi, perché a noi, che tutti i giorni trattiamo contenzioso, non possono venire a raccontare che le mediazioni funzionano, o che la negoziazione ha prodotto effetti positivi, o peggio che gli arbitrati portano vantaggi ai colleghi più giovani (parole di Mascherin).

L’obiettivo governativo, oltre che ridurre il contenzioso o la durata delle cause, è anche quello di tagliare il numero degli avvocati. Fatevi due conti.

I vostri delegati

Michele Iapicca e Giuseppe Magarò.

 

 

 

 

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