QUALCUNO RUBAVA MA VIVEVANO TUTTI FELICI E CONTENTI

19 Dicembre, 2016 | Autore : |

Continuiamo a costruire una forza radicale che possa distruggere il regime dell’istituzionalizzazione forense. Nel nostro lavoro di studio, ricerca ed analisi di tutto ciò che esprimono i colleghi in ambito politico forense, ci imbattiamo spesso  in considerazioni svolte da avvocati. Un collega, che non conosco, qualche giorno fa scriveva, più o meno testualmente: “noto sinistre affinità tra le indennità di Cassa Forense e i comportamenti dei politici”. Ecco, quel collega ha colto l’essenza di un parallelo tra regime dell’istituzionalizzazione forense e partitocrazia, che può spiegare bene la ragione per cui NAD combatte dichiaratamente contro le istituzioni forensi italiane, contro queste istituzioni forensi, e se ne augura la totale distruzione, la loro riduzione in polvere, per una rigenerazione che ne crei di totalmente diverse.

 

Noi siamo convinti che l’avvocatura non possa contrapporsi alla politica se non con voci libere e davvero rappresentative dei colleghi, ma da molti lustri le istituzioni forensi italiane sono rette da un sistema, fatto di uomini, corrotti, in carne ed ossa, che pensano esclusivamente al proprio tornaconto, costruiscono un patto scellerato con i propri elettori, fatto di scambi di utilità personali, che nulla hanno a che vedere con la politica, con ciò che davvero dovrebbe essere la buona politica.

 

Si perché la vera politica non è offrire ai propri sostenitori qualcosa, in cambio del sostegno. Quello si chiama clientelismo e porta inevitabilmente ad una degenerazione funzionale dei sistemi che adottano tali metodi. Vi è inoltre un altro aspetto, che dovrebbe essere intollerabile per un avvocato, in questo paradigma: l’idea che il corrotto possa beneficiare di privilegi ingiusti, offrendo in cambio, ad alcuni o a molti, utilità che “ripaghino” tale privilegio, è qualcosa che solo chi non avrebbe mai dovuto diventare un avvocato può legittimare. Vi è una profondissima dose di immoralità, una concezione sordida, viscida, dell’esistenza, che non ha nulla a che vedere con il concetto di comunità, di rappresentanza, di giustizia e di diritto.

 

E dunque torniamo all’avvocatura, a quella strana accozzaglia di mestieranti tra cui moltissimi dicono e scrivono che “non importa che i Consiglieri si prendano i mega stipendi, basta che ci diano questo e questo e quello”. Una visione ributtante, respingente, che va condannata senza esitazioni. Gli avvocati che assumono incarichi di rappresentanza all’interno della nostra professione dovrebbero farlo per spirito di servizio. La professionalizzazione, arbitraria ed illegale, delle cariche istituzionali all’interno dell’avvocatura italiana, o in ragione di presunte “responsabilità” assunte con dette cariche, o in ragione del presunto “impegno” che i nostri “eletti” metterebbero nelle attività che svolgono all’interno delle istituzioni, non può che essere determinata, per tutti gli avvocati, su basi eque, legittime, che coinvolgano tutta la categoria.

 

Solo una discussione ampia, approfondita, condotta in ogni Foro in modo capillare, riversata in mozioni chiare e riconosciute, pubblicate e pubblicizzate per mesi, prima di un momento di approvazione, da tenersi rigorosamente in Congresso Nazionale, avrebbe potuto consentire “indennità” di carica per i Consiglieri della Cassa forense e del Consiglio Nazionale Forense. Solo una scelta di fondo, che valga in modo equo per tutti i colleghi impegnati in favore di altri colleghi, potrebbe legittimare la professionalizzazione degli incarichi. Diversamente, le appropriazioni indebite, arbitrarie, padronali e vomitevoli a cui la Cassa Forense e il Consiglio Nazionale Forense si dedicano, con tenace puntualità, sono un elemento che getta ancora più discredito su istituzioni che già vivono un profondo distacco dall’approvazione e dalla rappresentatività della classe forense italiana.

 

L’ignavia dei più non può più essere un alibi per continuare a prendere a piacimento, fino ad ingozzarsi. Alchimie che riguardano codicilli, aggiornamenti, adeguamenti, periodizzazioni, non possono giustificare l’abuso. Le cariche assunte volontariamente dagli avvocati, come momento di servizio verso i colleghi, devono davvero essere tali e non generare rendite, prebende o indennità. I rimborsi delle spese sostenute in ragione dell’incarico sono sacrosanti ed intangibili, perché questo e solo questo garantisce che chiunque, anche un avvocato povero, possa dedicarsi con spirito di servizio (seppure probabilmente per un periodo limitato, impedendo di trasformare un servizio pro tempore in una condizione di vita…) alla politica forense e agli incarichi che essa comporta. Non sono le indennità, men che meno indennità da oltre 7 mila euro al mese, a poter consentire di assumere responsabilità o cariche istituzionali. Tali somme sono vere e proprie rendite di posizione, inique, immorali, intollerabili in un momento in cui l’avvocatura italiana vede metà dei propri appartenenti galleggiare con redditi prossimi al livello di sussistenza.

 

L’arroganza degli opulenti non è più tollerabile e la propaganda dei propri fiancheggiatori è più demagogica e populista delle rivendicazioni di moderazione e moralità della politica forense. Noi di Nuova Avvocatura Democratica vogliamo che le cariche assunte all’interno dell’avvocatura italiana, tutte le cariche, non rendano alcuna indennità, fino a quando il Congresso Nazionale Forense stabilisca se e quali cariche debbano godere di indennità, quali siano i tetti accettabili, quale sia la natura dell’indennità, se sostitutiva o integrativa del reddito dell’avvocato che diviene “politico professionista”. Queste scelte potranno dirsi accettabili sul piano morale solo se l’intera classe, con la massima condivisione, le riterrà utili e giuste.

 

Fino a quel momento, le indennità di carica del Consiglio Nazionale Forense e dei delegati alla Cassa Forense resteranno ciò che sono ora: abusi, appropriazioni arbitrarie e inqualificabili, e Nuova Avvocatura Democratica si batterà perché vengano abolite.

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