La Giustizia ai tempi del covid

29 Aprile, 2020 | Autore : |

Avv. Ivanmarcello Severino

Nuova Avvocatura Democratica Sezione Torre Annunziata

Il decreto legge n. 18/2020, oltre a stabilire misure volte al contenimento della diffusione del covid 19 ed al sostegno economico indispensabile delle categorie penalizzate dal lockdown, ha introdotto norme anche nel settore giustizia al fine di regolare l’amministrazione della giustizia nel periodo compreso tra il 9 Marzo ed il 30 Giugno 2020. L’art. 83 del testo tra l’altro il rinvio d’ufficio sino al 15 Aprile e poi fino all’11 Maggio dei procedimenti civili e penali e la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto. Tali disposizioni non operano, tuttavia, in relazione ad alcune cause, indicate per il settore civile alla lettera a) dell’art. 83 e per il settore penale alla lettera b) che è quella trattata in questo scritto. Il legislatore si riferisce ai procedimenti per convalida dell’arresto o del fermo o dell’ordine di allontanamento immediato dalla casa familiare ( quest’ultimo prima della conversione non incluso nella deroga) ai procedimenti nei quali, durante il periodo di sospensione, scadono i termini di cui all’art. 304 c.p.p. e a quelli in cui sono applicate misure di sicurezza detentive. Ancora la medesima disposizione si applica altresì quando i detenuti, gli imputati, i proposti o i loro difensori espressamente richiedono che si proceda nei seguenti:

  1. procedimenti a carico di persone detenute;
  2. procedimenti in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza;
  3.  procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono disposte misure di prevenzione;
  4. procedimenti che presentano carattere di urgenza, per la necessità di assumere prove indifferibili nei casi di cui all’art. 392 c.p.p.

Fin qui le norme adottate rispondono al buon senso e ad una razionale gestione degli affari di giustizia. Tuttavia i problemi e le incongruenze sono individuabili a partire dal comma 6 del medesimo art. 83 ove si stabilisce che per contenere l’emergenza epidemiologica da covid 19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria per il periodo compreso tra il 16 aprile e il 30 giugno 2020 i capi degli uffici giudiziari, sentita l’autorità sanitaria e il consiglio dell’ordine degli avvocati adottano le misure organizzative anche relative alla trattazione degli atti giudiziari al fine di evitare assembramenti all’interno degli uffici giudiziari e contatti ravvicinati tra le persone.

In sintesi si demanda il funzionamento quotidiano della giustizia, sia pure in un periodo limitato ai capi dei singoli tribunali creando un diritto a la carte o in altri termini un vestito di arlecchino, con tanti colori quanti sono i Tribunali Italiani, con tanti saluti alla organicità, alla trasparenza e ad ogni principio di sistematicità.

Pertanto il comma 7 stabilisce che i capi degli uffici possono adottare le seguenti misure:

limitazione dell’accesso del pubblico agli uffici giudiziari, limitazione dell’orario degli orari di apertura al pubblico degli uffici o la chiusura al pubblico degli uffici che non erogano servizi urgenti, l’ adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze, la regolamentazione dell’accesso ai servizi previa prenotazione, anche tramite mezzi di comunicazione telefonica o telematica, la celebrazione  a porte chiuse ex art. 472 c.p.p. di tutte le udienze penali pubbliche, la previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 nei procedimenti civili e penali con l’ eccezione di cui al comma 3.      

Alcune di queste misure possono essere condivisibili e di buon senso, mi riferisco per esempio alla possibilità di organizzare l’accesso agli uffici mediante telefono o pc, purchè gli uffici e le cancellerie siano attrezzate adeguatamente alla bisogna e rispondessero prontamente alle richieste degli avvocati e della numerosa utenza. Ma tale disposizione già si appresta a restare in larga misura lettera morta e numerose sono le doglianze di colleghi che disperatamente provano inutilmente a contattare i centralini dei vari tribunali.     

È proprio di questi giorni così travagliati la proliferazione di bozze, delibere, protocolli sfornati dai vari capi degli uffici italiani che, come un torrente in piena sgorgano e si diffondono nelle bollenti chat di tanti avvocati o attori del diritto, i quali disorientati si domandano che ne sarà della loro vita professionale, implorando la fine dell’emergenza covid 19 ed il ritorno ad una normalità lavorativa accettabile.

Ma vi è di più perché mentre il comma 12 dell’art. 83 del DL 18/2020, prevedeva nel periodo 9 Marzo- 30 Giugno 2020 la possibilità di partecipazione alle udienze delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare assicurata mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati con i sistemi informativi ed automatizzati del Ministero della giustizia, in sede di conversione del decreto è stato introdotto il comma 12 bis che ha ampliato notevolmente tale possibilità, tramutando l’eccezione ai principi aurici del processo quali oralità, pubblicità, in regola, sia pure per ora limitata al 30 giugno 2020

Il comma 12 bis ha previsto quindi che non solo nelle ipotesi limitate e residuali dei processi con detenuti o sottoposti a misure cautelari, ma anche nei processi, assai più numerosi, in cui imputato è un soggetto libero, il giudice prima della udienza fa comunicare ai difensori delle parti al PM e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità del collegamento.

La norma prosegue onerando i difensori di attestare l’identità dei soggetti assistiti, i quali se liberi o sottoposti a misure diverse dalla custodia in carcere, partecipano alla udienza solo dalla medesima postazione da cui si collega il difensore.         

Insomma da una parte la norma cosi modificata da ampio spazio discrezionale alle determinazioni del singolo magistrato di decidere se e come celebrare l’udienza, mentre in tempo pre-covid, essa era disciplinata e regolata da ferre e consolidate procedure codificate nel nostro codice di rito, dall’altra innesta nello sclerotizzato e già farraginoso sistema, innovazioni tecnologiche assolutamente improvvisate, non testate, non solidamente adeguate a garantire la trasparenza e la sicurezza dei dati. Ulteriore problema di cui pare che il legislatore non si sia fatto carico, o meglio su cui ha totalmente glissato, è quello della sicurezza delle parti, in realtà dell’avvocato, cui è demandata la predisposizione di adeguate misure di sicurezza ed igiene volte ad evitare ogni contatto ravvicinato con il suo cliente. Ma tali cautele doverose del tipo distanza di oltre 1 mt tra le persone, il cd. Distanziamento sociale, mal si conciliano con le velleità di chi ha costruito la norma de quo di celebrare un processo da remoto, già di per se foriero di innumerevoli inconvenienti, problematiche, disfunzioni, inadeguatezze.

Quello che si prospetta è quindi che la parte essenziale del processo, l’imputato e il suo difensore, siano relegati ai margini, in disparte, quasi fossero telespettatori dinanzi ad uno schermo che del processo non rifletterà neppure il nero delle toghe che molti riterranno di non dover indossare, a casa, sopra la vestaglia da camera. 

Appare di assistere a tentativi, mal fatti, di scardinare le basilari regole del contraddittorio ed immediatezza, utilizzando la situazione emergenziale come pretesto.

Il rischio, neppure troppo, è il caso di dirlo, remoto, è la smaterializzazione del processo (l’ultimo ma definitivo passo sarebbe la previsione di una audizione a distanza anche dei testimoni) con ricadute, queste si drammatiche è l’aumento esponenziale del pericolo che l’organo giudicante incorra in errore con conseguenze esiziali sulla vita delle persone. Il momento valutativo della prova testimoniale è di assoluta centralità nel processo di formazione della prova e nel processo di formazione del convincimento del giudice.

L’importanza della diretta assunzione della prova dichiarativa in dibattimento, risiede proprio nella necessità che il giudice abbia immediata percezione della persona del dichiarante nella sua totalità, del linguaggio non verbale, delle esitazioni, delle smorfie dei volti, dei ripensamenti e in generale di tutto quello che un soggetto sottoposto ad esame esprime, non filtrato da alcuno schermo, non interrotto dai possibili- quando non inevitabili- problemi di connessione, di immagine o quanto altro avrà a verificarsi qualora il legislatore intenda proseguire- come mostrano le prescrizioni assunte sinora, nella direzione che inevitabilmente porterà alla smaterializzazione del processo penale.

Il processo è una garanzia per l’imputato, occorre ribadirlo, innocente sino a sentenza definitiva e non un inutile orpello da trattare con ogni mezzo possibile pur di addivenire ad una decisione.

La compromissione dei diritti di difesa e della garanzie vanno in primo luogo a detrimento dei tanti innocenti che ogni anno vengono loro malgrado coinvolti in procedimenti penali che spesso neppure avrebbero dovuto iniziare.

Insomma cominciare a percorrere, proprio oggi, la strada virtuale, che in tempi di pace, nessuno ha osato intraprendere, senza nemmeno provare ad immaginare soluzioni difficili ma non impossibili di organizzazione della macchina giudiziaria volti a garantire una celebrazione ordinata dei processi, vuoi mediante misure agevoli come l’aumento dell’orario di tenuta delle udienze spalmato durante l’intera giornata o una scelta razionale dei processi da trattare ( per esempio quelli attinenti i delitti e non i reati di minor disvalore sociale quali le contravvenzioni) ovvero ancora quelli vicini alla prescrizione, appare francamente illogico, insostenibile e pericoloso per la tenuta del sistema.       

Avv. Ivanmarcello Severino

Nuova Avvocatura Democratica

Sezione Torre Annunziata

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