DIRITTO DI STABILIMENTO E ABUSO DEL DIRITTO: REGOLE O PRINCIPI?

23 Marzo, 2018 | Autore : |

 

La vicenda che tocca le sorti degli avvocati cosiddetti “stabiliti” è ancora lontana dall’essere conclusa, nonostante la giurisprudenza europea abbia ricondotto il fenomeno del ricorso alla legislazione più favorevole per conseguire titoli equipollenti, in grado di far svolgere la professione di avvocato su tutto il suolo europeo, nell’alveo della legittima ricerca di migliori condizioni normative, piuttosto che dell’abuso del diritto.  NAD su questa vicenda ha già proposto alcune riflessioni, di carattere squisitamente qualitativo. Riteniamo che un ulteriore spunto di riflessione capace di orientare il dibattito in senso difforme da quanto affermato in sede europea, possa essere dato dall’attenta analisi dell’istituto costituito dall’abuso del diritto, secondo la più autorevole dottrina che ne qualifica le peculiarità.

 

ACCESSO, STABILIMENTO, OLIGOPOLIO

 

 

In questo senso appare di fondamentale importanza comprendere che la definizione di abuso del diritto è per sua natura sfuggente, facendo riferimento a valutazioni spesso discrezionali, che attengono non alle regole strettamente intese, bensì ai principi. Non è un caso se quando si parla di abuso del diritto si fa spesso riferimento alla categoria dell’illecito atipico, ovvero di un illecito che non sia tale perché espressione diretta della violazione di regole, ma che appaia tale, in ragione di valutazioni di principio, pur presenti all’interno del nostro ordinamento. La categoria dell’abuso di diritto dunque, pur muovendosi in un campo per certi versi minato, deve essere riconosciuta, potendo superare, grazie alla sua carica di empatia e razionalità, il vuoto formalismo di chi veda nell’ordinamento giuridico un insieme di precetti senz’anima, disconoscendo il valore creativo e vivificante dell’opera del giureconsulto all’interno del corpus giuridico.

 

 

Scopo di questo articolo peraltro, non è quello di analizzare ed esporre la dialettica che si è sviluppata sul tema, a partire dal caposaldo costituito dall’opera di Pietro Rescigno, che con il suo “L’abuso del diritto“, pubblicato nei primi anni 60, ha dettato i fondamenti e segnato gli argini all’interno dei quali ragionare di questo istituto, bensì provare a riflettere sul rapporto tra diritto di stabilimento ed abuso, alla luce della dialettica tra regole e principi.

E’ infatti indubbio che il concetto stesso di abuso, allorquando si parli di diritti, contenga in sé una carica contraddittoria e paradossale, che non può non orientare l’operatore e l’interprete verso una concezione “aperta” del problema. Un giurista che voglia rimanere all’interno delle regole codificate potrebbe addirittura negare alla radice l’esistenza possibile dell’abuso, riconducendo l’agire abusivo all’interno del legittimo esercizio delle regole, delle norme vigenti. E’ senza dubbio un atteggiamento rispettabile, ma può ritenersi soddisfacente, sotto il profilo della difesa dell’Ordinamento, inteso nel suo senso più alto, ovvero quello che ne fa uno strumento di realizzazione di principi e di valori?

 

La materia è ostica ed aperta a conclusioni assai divergenti, né si può pensare di ricondurre il problema a valutazioni semplicistiche. L’assenza di un quadro normativo definito che esprima e determini l’abuso del diritto è senza dubbio un argomento solido in favore della sua natura normodinamica, secondo alcuni quasi “metagiuridica”, ma allo stesso tempo, se un abuso di diritti e di diritto può essere riscontrato ed empiricamente valutato, ciò significa che vi sono principi e valori in grado di reclamare un bilanciamento, rispetto alle norme ed alle regole.

Nella concezione contemporanea del diritto costituzionalizzato questi approdi, di carattere valoriale, non dovrebbero sconvolgere le certezze del giurista che abbia acquisito, nell’ambito del proprio bagaglio formativo, tutti i fondamenti filosofici e morali che si riversano nelle concezioni liberaldemocratiche dello Stato. La Costituzione è norma viva, contemperamento di regole, precetti, comandamenti stringenti, che coesistono con obiettivi, valori, principi, spesso aperti e lasciati alla concreta declinazione dell’interprete, della politica, della società.

 

Il diritto di stabilimento si inserisce a pieno titolo in questa problematica. Il cittadino europeo che ricerca condizioni favorevoli per poter acquisire un titolo equivalente a quello ottenuto per mezzo di un percorso selettivo molto più ostico, non lo fa per poter esprimere la sua idea di libera circolazione all’interno dell’Unione Europea, bensì allo scopo di evadere da un corpus normativo e da un territorio ritenuto – a torto, ma spesso a ragione – ostile, per farvi ritorno, grazie a un diritto che in realtà è vissuto come espediente. Questo fenomeno, se da un lato impone di riflettere sull’armonizzazione delle norme nell’ambito dell’intero territorio europeo, non può essere analizzato senza fare ricorso alla categoria dell’abuso, perché ciò varrebbe a rendere prive di senso le stesse norme “aggirate”, che finirebbero con l’imporsi solo ad una determinata fascia di cittadini e non a tutti.

 

Se infatti si ragiona sui percorsi di abilitazione compiuti da chi è ricorso alla “via spagnola” o a quella di altri paesi europei che, negli ultimi anni, hanno attratto cittadini europei all’interno dei propri confini, facendo della concessione generosa di titoli professionali un elemento di turismo e di affarismo dal sapore desolante, non si può non notare che la fuga verso l’estero abbia di fatto selezionato professionisti che potevano scegliere di investire nell’acquisto del titolo, utilizzato come mero presupposto per poter tornare ad esercitare nel paese in cui era presente la propria clientela, il proprio mercato e tutti gli elementi caratterizzanti l’esercizio della professione forense. Il legame con le diverse norme e i diversi titoli acquisiti nei paesi ospitanti non ha mai nulla di etico, non è dato dalla volontà, dall’interesse o dal diritto ad una formazione più ampia, bensì è solo il mezzo per poter aggirare un ostacolo, quello dell’abilitazione nel paese di origine, ritenuto insormontabile o iniquo.

 

Questa problematica non può dunque essere affrontata e risolta senza tenere in gioco la categoria dell’abuso del diritto. Le regole che consentono libertà di circolazione e stabilimento, all’interno dell’Unione Europea, devono contenere al proprio interno delle clausole di salvaguardia, tese ad impedire che il denaro e l’espediente si caratterizzino come elemento fondamentale della ricerca di condizioni più favorevoli. La norma non può accettare di essere vissuta come scappatoia, l’Ordinamento non può pensare di vivere se stesso come un insieme di precetti che il più furbo, o il più disposto a spendere, può evadere, generando così spinte alla sopraffazione ed all’arbitrio che non si conciliano con il valore etico sottostante alla legge.

Queste riflessioni non sono affatto di natura etica o extragiuridica, riguardano invece la funzione stessa dell’Ordinamento e del diritto, che deve scegliere se viversi come mera norma o come insieme di valori.

 

Avv. Salvatore Lucignano

 

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