AVVOCATURA FUTURA: SENZA REDDITI LA PROFESSIONE SCOMPARIRA’

3 Aprile, 2018 | Autore : |

NAD ha già pubblicato sul proprio gruppo facebook pubblico l’intervista che il Presidente francese Macron ha rilasciato di recente alla rivista Wired. Si tratta di una lunga riflessione sull’uso futuro dell’intelligenza artificiale, apparsa il 31 marzo, ed affronta alcuni nodi fondamentali per lo sviluppo di questo settore della società mondiale. Una curiosità legata a questo topic riguarda la scelta di Macron di esprimersi in inglese, che ha suscitato molte attenzioni nel suo paese, da sempre impegnato per una forte propaganda della lingua francese. Al netto della questione linguistica, assai importanti sono le considerazioni del Presidente francese che attengono allo sviluppo delle intelligenze artificiali, alla loro coesistenza con i modelli di produzione e scambio attualmente dominanti, al rapporto tra distruzione e trasformazione connesso a questa incipiente rivoluzione.

 

Emmanuel Macron – Intervista a WIRED sugli investimenti francesi nel campo dell’intelligenza artificiale

 

L’intelligenza artificiale non è solo un trend sociologico di cui discutere per apparire alla moda. L’annuncio di Macron riguarda la scelta della Francia di investire 15 miliardi di euro in cinque anni per lo sviluppo e l’analisi di progetti legati alle intelligenze artificiali. Si tratta di una somma importante, soprattutto se la paragoniamo con quanto destinato dall’Italia a tale settore, ma anche se la confrontiamo con paesi che nelle AI stanno scommettendo gran parte del proprio processo di innovazione tecnologica, come gli USA e la Cina.

L’intervista di Macron è importante perché mostra un punto di vista governativo sulle problematiche legate all’uso dell’AI, suggerendo che le preoccupazioni sui potenziali effetti distruttivi di questa innovazione sono tutt’altro che infondate. La presenza ricorrente del termine “disrupt“, ovvero “rottura”, nel discorso di Macron, non consente di immaginare una transizione morbida verso un modello di società in cui l’AI si accompagni all’inclusione delle masse, alla loro solidità economica, ad una maggiore ed incontestabile razionalità dei processi di governo, sia della società che dell’economia.

I think artificial intelligence will disrupt all the different business models and it’s the next disruption to come. So I want to be part of it. Otherwise I will just be subjected to this disruption without creating jobs in this country.”

Dichiarare che l’AI soppianterà tutti i diversi modelli di business non è cosa da poco. Allo stesso tempo, Macron appare fortemente sbilanciato verso una logica politica interventista, che si preoccupa di contrastare un effetto dell’innovazione giudicato quasi inevitabile, quello della perdita di posti di lavoro legata all’AI. Egli ritiene che l’unico modo di impedire tale perdita sia di guidare il cambiamento, essendone parte e ponendo la politica al comando delle operazioni.

Si tratta di logiche che spesso NAD ha proposto agli avvocati italiani, trovando in verità scarsissimi riscontri e poca voglia di sfidare il futuro. Eppure il tema di innovazioni che si impongono, senza valutare la portata etica e politica dei cambiamenti, dovrebbe essere centrale in una categoria in cui il valore è sempre più polarizzato verso aggregazioni e settori altamente specializzati, perché il microcosmo forense italiano sta vivendo, su scala ridotta, ciò che altri settori della società mondiale sperimentano da tempo sulla propria pelle.

 

 

Sempre in questi giorni in Italia si è infatti tornato a parlare del rapporto tra riposo dei lavoratori e chiusura delle attività commerciali nei giorni festivi. Anche in questo campo il dilemma si è posto con riferimento alla possibilità di compiere scelte guidate da valori etici, quelli riguardanti la tutela del riposo, della famiglia, del distacco dalla schiavitù dell’operatività ininterrotta, ovvero di sottostare al ricatto dell’e-commerce, che non si pone limiti, agisce h24 e così facendo erode sempre più un mercato in cui ormai anche la grande distribuzione pare seguire le sorti degli esercenti al dettaglio, mostrando preoccupanti segnali di affanno.

NAD è stata una delle prime realtà interne all’avvocatura italiana a portare tra gli avvocati di base il tema del valore ed il suo rapporto con i valori, uscendo dalla retorica istituzionalizzata della morale e del ruolo sociale, spacciati come mantra anestetizzante. La nostra concezione della socialità parte da una forte affermazione dell’individuo, del suo benessere economico, della sua libertà dal bisogno materiale e fonda su questi pilastri la possibilità che l’avvocato eserciti una professione capace di esprimere cultura sociale. Rifiutiamo sdegnosamente l’idea che una ristretta cerchia di istituzionalizzati benestanti possano parlare di valori e buoni sentimenti, mentre la metà degli appartenenti alla nostra categoria non hanno pane e diventano rabbiosi se gli si dice che le migliori pasticcerie del centro vendono brioches.

 

Così come sta avvenendo in campo economico, anche sul piano dell’etica pubblica assistiamo ad una nuova forma di stratificazione, che confina i dibattiti sul giusto e sul buono all’interno di ristrette congreghe, mentre grandi masse di cittadini sono costretti a navigare a vista, non solo e non tanto per una propria inferiorità morale, quanto per la brutalizzazione delle proprie prospettive economiche, che li costringe ad una vita di perenne incertezza. La risposta all’angoscia, all’impossibilità di fare affidamento sul futuro, è la distanza sempre maggiore che miliardi di individui maturano nei confronti dell’etica pubblica. Il risultato di tale allontanamento del cittadino dalla socialità collettiva è una cittadinanza di serie B, una forma di vita che non può esprimere con pienezza i valori etici, perché afflitta da livelli di benessere emotivo incompatibili con l’acquisizione stabile della serenità.

In quest’ottica ci sono altri passaggi dell’intervista di Macron sui quali riflettere:

“The big risk for our society is to increase opportunities only for very highly qualified people and, in a way, very low-qualified workers. It is especially necessary to monitor the qualification of the middle class, because they can be the most disrupted.”

 

Ancora il concetto di “disruption“, che qui possiamo ben tradurre con l’idea di uno sconvolgimento, applicato alle nuove e divaricate distanze che l’AI rischia di introdurre nel dialogo sociale tra “very highly qualified people” e una “middle class” sempre più marginalizzata.

NAD nei giorni scorsi ha già trattato di questo specifico aspetto, proponendo una riflessione sul rischio di scomparsa del reddito, che traeva le sue premesse proprio da alcune indagini compiute di recente negli USA, che calcolano l’impatto dell’AI sui redditi e l’inclusione sociale che vivrà la middle class americana nei prossimi anni, con un outlook incentrato sullo scenario possibile nel 2030.

 

LA SCOMPARSA DEL REDDITO SARA’ LA VERA EMERGENZA DEI PROSSIMI ANNI

 

Non è stato un caso che la foto di copertina di questa riflessione ritragga una classe media in bilico sul burrone, appesa ad un filo sottile, mentre ricchezza e povertà appaiono solide realtà, non toccate da un mutamento o rimescolamento apprezzabile. L’essenza dei processi di globalizzazione ed innovazione appare infatti scaricare il proprio potere di trasformazione proprio sulla classe media, su coloro che i modelli di inclusione democratica legati alla diffusione generalizzata del cosiddetto welfare state aveva inserito all’interno dello sviluppo globale, ma che oggi rischiano di restare ai margini delle nuove distribuzioni di ricchezza, di tendere alla marginalità e all’esclusione sociale e politica.

Appare dunque fondamentale approcciarsi al nuovo modello di sviluppo senza preconcetti, senza fobie legate alla necessità di cambiare, perché è impensabile pensare ad una società mondiale che non cambia, che sceglie ed impone la staticità o il ritorno ad un’idea di “pregresso” come obiettivo della propria corsa. Allo stesso tempo non possiamo permetterci di ripetere errori grossolani, già commessi, diffondendo dogmi sulla bontà intrinseca di tutto ciò che è nuovo o diverso, ignorando i rischi per la nostra società, mettendo l’etica pubblica e l’umanesimo in un cantuccio, a fare da spettatori alle alchimie della tecnica e dell’alta finanza. In questo modello noi quarantenni ci siamo già stati, o meglio, varrebbe forse la pena dire che ancora ci stiamo, immersi fino al collo in una vicenda che non ha prodotto la felicità e la scomparsa degli affanni universali, ma al contrario ha generato nuove paure e nuovi bisogni di certezze, che né la politica, né l’economia e la tecnica, hanno saputo realizzare.

 

 

Un altro concetto dell’intervista di Macron che mi ha particolarmente colpito è quello di “rischio”. Il termine è utilizzato sei volte all’interno del lungo dialogo tra il Presidente francese ed il suo intervistatore Nicholas Thompson, e rappresenta una buona fetta del topic, incarnando uno degli aspetti più importanti di un sano approccio all’AI: quello della cautela. Un passaggio in particolare affronta un’altra tematica che in questi giorni è stata sotto i riflettori della pubblica opinione e che NAD ha già varie volte presentato ai propri lettori, quella del rapporto tra valore e big data. I rischi legati all’allocazione irrazionale e iniqua di valore concessi dalla commercializzazione dei big data sono uno dei maggiori temi per lo sviluppo futuro dei sistemi di comunicazione integrati, basati sull’IOT, sui social network e sulle intelligenze artificiali.

In queste ore Mark Zuckerberg, fondatore di facebook, parla di un lasso di tempo di anni come orizzonte necessario alla risoluzione dei problemi di sicurezza connessi alla pubblicità ed allo sfruttamento dei dati circolanti sul più famoso social network del mondo. Allo stesso tempo risponde alle accuse di Tim Cook, leader di Apple, che a proposito dello scandalo “Cambridge Analytica” ha apertamente parlato di un interesse di facebook nella vendita indiscriminata di dati alle grosse compagnie di raccolta di tali informazioni. La polemica tra due esponenti di primo piano dell’economia immateriale mondiale si collega a quanto affermato da Macron:

“AI will raise a lot of issues in ethics, in politics, it will question our democracy and our collective preferences. For instance, if you take healthcare: you can totally transform medical care making it much more predictive and personalized if you get access to a lot of data. We will open our data in France. I made this decision and announced it this afternoon. But the day you start dealing with privacy issues, the day you open this data and unveil personal information, you open a Pandora’s Box, with potential use cases that will not be increasing the common good and improving the way to treat you. In particular, it’s creating a potential for all the players to select you. This can be a very profitable business model: this data can be used to better treat people, it can be used to monitor patients, but it can also be sold to an insurer that will have intelligence on you and your medical risks, and could get a lot of money out of this information. The day we start to make such business out of this data is when a huge opportunity becomes a huge risk. It could totally dismantle our national cohesion and the way we live together. This leads me to the conclusion that this huge technological revolution is in fact a political revolution.

 

Si tratta di una riflessione che prende spunto dall’utilizzo dell’AI a scopo predittivo delle patologie possibili, passando poi in rassegna i rischi connessi ad uno sviamento delle informazioni connesse a tale utilizzo della tecnologia. Da qui si arriva al legame tra valori e valore, nel momento in cui Macron ammette che i big data possono essere trattati come stock di capitalizzazione immateriale, scambiati e venduti come beni, ignorando il contenuto etico ed umano che sottende alla loro formazione. In particolare Macron ammette che il commercio di questi dati trasformerebbe una grande opportunità in un grande rischio ed il termine “huge”, che in inglese indica l’enormità, ma anche lo stupore di fronte alla dimensione di un fatto, non può destare più di una preoccupazione sul punto. In particolare sembra doversi negare che lo scenario ipotizzato in questo ragionamento possa essere raccontato come un’ipotesi ancora non realizzata.

Le parole di Zuckerberg e le evidenze legate all’attività di Cambridge Analytica dimostrano inequivocabilmente che i big data estratti da facebook hanno già giocato un ruolo, sia in ambito di transazione economica, sia in ambito politico, con le influenze, non smentite e ormai da considerarsi effettivamente realizzatesi, verificate sia nell’elezione di Donald Trump alla Presidenza USA, sia nel voto inglese sulla Brexit. Tutto questo per restare ai casi più noti, senza indagare a fondo su molti altri scenari politici di massa in cui lo studio degli orientamenti popolari è stato indirizzato da campagne basate sull’analisi di big data venduti a peso d’oro.

Appare dunque importante l’ultimo concetto espresso da Macron a proposito di queste correlazioni, che ho volontariamente evidenziato in neretto: è infatti evidente che le trasformazioni tecnologiche di cui NAD si sta occupando da tempo, indichino in realtà i fattori per un enorme cambiamento anche della politica, che sempre più verrà costruita da modelli operativi basati sul lavoro delle macchine pensanti e sull’analisi dei big data riguardanti la popolazione mondiale.

 

 

Tutto quanto scritto fin qui ha una strettissima correlazione con l’avvocatura e non è un caso che NAD proponga le riflessioni di cui ci occupiamo, per mostrare il lavoro da fare all’interno della nostra categoria. A differenza dell’etica propalata dal benessere istituzionalizzato NAD mette al centro della propria azione politica la difesa del reddito e del lavoro di chi oggi è avvocato. La scomparsa del lavoro e del reddito, la crescita di occupazioni non qualificate e non remunerative, l’esaurimento di attività ripetitive, alienanti, che portano all’abbrutimento ed all’esclusione politica l’avvocato di base, non sono rischi da guardare con nostalgico disincanto. Non parliamo di eventi incerti, romanzati, che potrebbero avverarsi in un futuro lontano. Non si tratta di fantasie, favole o suggestioni. Al contrario, tutto ciò è vero, è reale, sta già accadendo e sta portando ad una drammatica implosione dell’Ordine Forense, lacerato dall’assenza di identità e da una costante divaricazione tra i racconti edulcorati del potere dominante e la situazione di disagio ed indebolimento dell’avvocatura di massa.

In questi mesi NAD ha parlato di reddito e del reddito come primo elemento da porre al centro della riqualificazione forense, perché il modello produttivo dell’avvocatura di massa non è più in grado di generare reddito. I dati raccolti e diffusi dalla Cassa di Previdenza Forense, seppure di malavoglia e con colpevoli ritardi ed incompletezza, disegnano un quadro a tinte più che fosche. Il mito della riconversione istantanea, legata ad una formazione orientata verso il reinserimento dei professionisti espulsi dal mercato, seppure con diverse abilità, fa acqua da tutte le parti. I processi di riqualificazione non sono guidati da una lucida e seria analisi delle possibilità, che raccontino la verità e che agiscano per impedire che gli aggiustamenti e il raggiungimento di nuovi equilibri economici non sia il frutto di inaccettabili prezzi, umani e sociali, ma di un governo politico delle transizioni, tale da arrivare ad una svolta morbida, che tenga assieme il bisogno di andare verso un’avvocatura non più massificata con le esigenze economiche di decine di migliaia di professionisti in crisi reddituale ed operativa.

 

 

NAD ha le idee chiare. I dati riguardanti il reddito, o meglio, la scomparsa del reddito, per la gran parte degli avvocati italiani, sono la cruda fotografia del fallimento del sistema ordinistico. Il modello proposto dai gruppi dirigenti che hanno comandato l’avvocatura negli ultimi 20 anni ha fallito ed hanno fallito tutti i rappresentanti di questo circo chiamato “politica forense”, inclusi gli elettori, che hanno continuato a sostenere personaggi invotabili, privi dei più elementari rudimenti culturali e chini in un disegno di rafforzamento del vecchio, sconfitto dalla storia e devastante per la tenuta sociale della classe. Occorre una proposta forte, alternativa al racconto edulcorato propalato dalle istituzioni forensi. Occorre la creazione di un network politico, culturale, informativo, in grado di contrastare questo racconto. E’ questo il compito di chi oggi voglia fare politica forense con l’ambizione di lasciare un segno nella vita di decine di migliaia di colleghi. Il resto sono seggiole sotto al culo e miseria, umana e morale. Occorre resettare questa vicenda, ripartire dal foglio bianco, ricostruire, con priorità e modalità del tutto diverse, opposte a quelle adottate fino ad oggi dal sistema. Non c’è più tempo.

Occorre guardare alle grandi trasformazioni in atto nella società ed utilizzarle come grimaldello per un diverso modo di fare e di essere avvocati, che rifugga dalla retorica valoriale delle nostre istituzioni, che metta al centro dell’agire politico collettivo il benessere materiale ed emotivo di quei tanti, troppi colleghi marginalizzati dall’ingresso in una classe rimasta fuori dall’idea di centralità della modernità.

I problemi legati all’assenza di una prospettiva economica stabile per chi attualmente si trova in uno stato di mera sussistenza, non possono più essere trattati con le risposte assistenziali di corto respiro. L’impianto predatorio e paternalista del sistema della Cosa  Nostra Forense, fondato sulla rapina di risorse dai singoli, tesa ad elemosine rielaborate dalla casta forense sulla base delle proprie esigenze di legittimazione elettorale, non consente alla classe di andare verso lo sviluppo, non incide sulle dinamiche di riconversione del sistema, non aiuta affatto ad innovare, ma costituisce un drammatico elemento di stabilizzazione dell’inefficiente, dell’ambiente corrotto e conservatore che guida i processi e i disegni interni alla classe forense italiana.

 

 

L’idea di stare nella realtà di un sistema ordinistico fallito, imbolsito, incapace di rappresentare tutti e soprattutto distante dalle fasce più avanzate e più deboli della categoria, sta decimando le energie che potrebbero dare all’avvocatura italiana un diverso respiro, avvicinandola ad una comprensione efficace della realtà, primo elemento necessario per poter fornire risposte efficaci a un mondo forense che ancora vive, o meglio sopravvive, facendo cose del tutto inefficaci. All’etica dei proclami aulici e roboanti va sostituita quella che si innerva con verità e velocità sui fatti, che affronta le contraddizioni interne ad una classe moribonda, senza più nascondersi dietro i totem e i tabù.

Oggi la nostra professione vive una crisi devastante, che parte dai processi di accesso alla professione, irrazionali ed iniqui, e si trascina attraverso ogni singolo passaggio della vita del professionista. Redditi e clienti figli di corruzione e clientele, potere e rappresentatività sottratte alla legalità e mantenuti nei lustri con l’aiuto dell’abuso e della violazione sistematica delle leggi, una previdenza che suona il proprio brano più evocativo sulla tolda di una professione che affonda e muore, sempre più velocemente ed inesorabilmente. Lo scollamento tra i fatti e le misure volte ad incidere sul loro svolgimento passa inevitabilmente dal grottesco allo sconfortante, senza che però gli avvocati italiani arrivino a quel livello di elaborazione critica che consenta una reazione in grado di mettere sotto scacco i meccanismi di imbonimento che tengono a bada i moribondi.

 

 

Nuovi modelli politici, incentrati sulla valorizzazione dei giovani e delle donne, devono imporsi al più presto. Una rinnovata attenzione all’operatività e alle buone leggi per gli avvocati deve sostituirsi all’elemosina assistenziale portata avanti dal modello di welfare attivo che sta avvelenando i semi della rivolta. Un nuovo concetto di Ordine Forense, finalmente centrato sul rispetto di funzioni stabilite dalle leggi, fatte proprie dagli appartenenti all’Ordine deve scacciare l’attuale assetto di potere, che sta frantumando ciò che resta di un’identità e di una dignità irrimediabilmente perdute. Scaricare le contraddizioni dell’avvocatura sull’esterno ha prodotto solo gigantesche opere di mistificazione. Gli avvocati italiani devono ritrovare l’orgoglio, riappropriarsi delle proprie colpe, elaborare soluzioni ai problemi veri che affliggono la classe. Solo così l’avvocatura potrà tornare a vivere: non abbiamo alternative.

Avv. Salvatore Lucignano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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