I DUELLANTI E IL SENSO DELL’ONORE

2 Gennaio, 2017 | Autore : |

“I duellanti”, è un film diretto da Ridley Scott, realizzato nel 1977. La storia si snoda a partire dal 1800, nell’anno in cui Napoleone prende il potere in Francia. Il tenente ussaro Armand D’Hubert è incaricato dal generale Treillard di comunicare lo stato d’arresto al suo pari grado, ma di umili origini, Gabriel Féraud, responsabile del ferimento in duello del nipote del sindaco di Strasburgo. Féraud, disturbato durante un incontro galante con la nobildonna Madame de Lionne, chiede immediata soddisfazione a D’Hubert. Nasce da qui una serie di duelli tra i due ufficiali, che si snoda di pari passo con le sorti delle campagne napoleoniche. Féraud in particolare, inseguirà per anni il suo rivale, imponendogli di combattere in duelli all’ultimo sangue ogni volta che i due si trovino nella stessa città ed ostinandosi a considerare ancora aperta la contesa, per oltre 15 anni, nonostante D’Hubert non intenda continuare a battersi. E’ uno scontro ideologico tra due diversi concetti dell’onore, quello di Féraud, che lo considera questione di vita o di morte, e quello di D’Hubert, che invece mira a vivere una vita in cui vi sia spazio anche per la mediazione. D’Hubert non comprende come un presunto torto possa spingere il suo avversario a desiderare vendetta per una vita intera e passa la sua esistenza come sospeso, con la spada di Damocle di un possibile duello, a cui però, pur non credendo nelle sue ragioni, finisce inevitabilmente per accondiscendere.

 

Il dottor Joaquin, amico di D’Hubert e da lui mandato a medicare Féraud dopo le ferite ricevute dal D’Hubert in uno dei loro primi duelli con la spada, sa bene che esistono tre possibilità per evitare di battersi nuovamente: la lontananza, la differenza di grado e lo stato di belligeranza della nazione, chiosando scherzosamente “Tieniti alla larga da lui, fa’ più carriera di lui e abbi fede in Bonaparte”. Ciò che proprio il D’Hubert non riesce a prendere in considerazione è il rinunciare alle sfide che Féraud continua a lanciargli, ogni qualvolta i due ufficiali si trovino impegnati in una delle campagne napoleoniche e soggiornino nella stessa città.

Negli anni successivi dunque, la vita dei due ufficiali si intreccia con la vicende di Napoleone: prigionieri del codice d’onore, sono tenuti a sfidarsi ogni volta che le circostanze lo permettono, ma senza mai riuscire a concludere un duello e ottenere giusta soddisfazione. Non sfugge a tale consuetudine lo scontro avvenuto durante la ritirata dalla Russia della grande armata di Napoleone Bonaparte, ma in quella occasione D’Hubert e Féraud non esitano a fare fuoco contro alcuni cosacchi, sopraggiunti durante il loro duello, anteponendo lo scontro tra nazioni a quello personale, secondo le norme disciplinari e le regole dell’onore militare.

 

Tra i due uomini si crea dunque un legame forzoso, per la vita, che Féraud impone si al suo rivale ma che però non viene da quest’ultimo totalmente rifiutato. E’ proprio questo duello infinito, che si combatte per anni, che spinge D’Hubert ad un’azione che risente dell’ambivalente rapporto, di odio e di attenzione, verso il suo duellante. Infatti, a 15 anni dal loro primo duello, venuto a conoscenza della condanna alla ghigliottina dell’antico rivale, in ragione delle sue simpatie bonapartiste,  D’Hubert si reca personalmente dal ministro della polizia del regime realista di Luigi XVIII, affinché il nome di Féraud sia cancellato dalla lista dei condannati. D’Hubert chiede ed ottiene che l’intervento da lui attuato, per salvare la vita del suo acerrimo nemico, gli sia tenuto nascosto ed il capo della polizia realista esaudisce la sua richiesta.

 

Perché D’Hubert salva la vita a chi è ancora deciso a togliergli la sua? Per onore, certo. Per un senso dell’onore che gli impone di non odiare il suo nemico, nonostante Féraud lo odi a tal punto, da desiderarne la morte, anche quando il motivo per cui la contesa ebbe inizio è ormai talmente lontano e sepolto da cumuli di eventi successivi, da perdersi e perdere qualsiasi importanza. L’onore diviene dunque il protagonista di uno scontro che prescinde dalla vita, ergendosi a giudice dell’esistenza di due uomini e finendo inevitabilmente per apparire grottesco al D’Hubert, che si rende conto di scommettere un bene prezioso, inestimabile, non per motivi condivisibili, ma per una serie di circostanze che finiscono con il diventare totalmente irrazionali, pur conservando la capacità di attrarlo irresistibilmente verso il pericolo.

 

Dopo l’intervento del rivale presso la polizia del Re di Francia, Féraud è rimesso in libertà ma è costretto a vivere sotto la sorveglianza della polizia; nonostante ciò, contatta segretamente D’Hubert tramite i suoi secondi per lo scontro finale. Il duello sarà idealmente la conclusione di quello interrotto in Russia: si svolgerà con pistola e con due colpi a testa. Féraud esplode a vuoto i suoi colpi, mentre D’Hubert ne consuma solo uno, potendo così disporre della vita del rivale. Sorprendentemente, il lungo confronto durato anni ha un epilogo incruento: D’Hubert “dichiara morto” Féraud e questi dovrà rispettare la sua volontà, in ottemperanza alle regole del codice d’onore. Da questo momento le strade dei due uomini si separano per sempre.

 

Il film si conclude con un Féraud insoddisfatto, ma costretto ad accettare l’esito del duello, e il D’Hubert, finalmente restituito alla vita, che torna dalla sua giovane moglie, libero infine da un vincolo d’onore che lo ha tenuto appeso al filo della morte oltre ogni ragionevole necessità.

 

L’onore, nelle sue declinazioni più diverse, è il vero protagonista di questa vicenda. L’onore che impone di salvare il proprio peggior nemico, e che vuole la morte di un uomo che non nutre sentimenti di inimicizia verso il suo attentatore.

 

 

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