EQUO COMPENSO: IL DELITTO IMPERFETTO

23 Novembre, 2017 | Autore : |

Sull’Equo compenso, il mistero si infittisce, e come il protagonista Hercule Poirot del celebre romanzo di Agatha Christie “assasinio sull’Orient express” l’avvocato deve scovare, giorno dopo giorno, gli indizi del mosaico della legge, che partita come delitto perfetto si palesa invece come piena di contraddizioni e aporie.
Sembrerebbe che sia stato fissato, a pena di decadenza il termine di 24 mesi per fare ricorso al giudice e far valere le c.d clausole vessatorie sottoscritte nelle convenzioni con banche, assicurazioni e grandi imprese.
Etsi contractus, tamen voluit!
Da qui sarebbe patetico invocare per gli avvocati l’aggravante della minorata difesa come incapacità di rendersi conto di essere soggetto passivo di condotte illecite altrui.
Ma ancora, il termine decorrerebbe dall’entrata in vigore della legge di conversione senza che sia dato comprendere se tale “privilegio” scatti anche per i contratti già in corso oppure per quelli stipulati dall’entrata in vigore della legge (sul punto cfr. Cass. Sent. 10436/2002)
Infatti in base al nuovo articolo 13-bis, comma 9, della legge 247/2012, l’azione diretta alla dichiarazione di nullità delle clausole vessatorie contenute nelle convenzioni stipulate tra avvocati e imprese “è proposta, a pena di decadenza, entro ventiquattro mesi dalla data di sottoscrizione delle convenzioni medesime”.
Sorge a tal (s)proposito il dubbio della compatibilità ordinamentale tra il sistema della nullità delle clausole vessatorie, sebbene di protezione e relativa, con il termine di decadenza processuale per farle valere.
Come se il legislatore avesse voluto lanciare il sasso e nascondere la mano in un ossimoro giuridico che sanziona con la massima gravità la deviazione dal paradigma contrattuale voluto, ma ancora l’azionabilità della tutela a perentori termini di decadenza.
E’ ben vero che nell’art. 31, comma 4, c.p.a. è previsto un termine di 180 giorni per far valere con l’azione di nullità l’invalidità dell’atto amministrativo, ma le regole che governano la materia sono informate all’interesse, certezza e continuità dell’ azione amministrativa.
Ma quando si tratta di norma riguardanti gli avvocati le eccezioni alle regole, sono per l’appunto regole!!!!
Sembra che si voglia irretire e imbrigliare la professione di avvocato attraverso le leggi; le quali perdendo la funzione di orientamento culturale e sociale smettono di incentivare e potenziare le capacità espansive della professione.
Cosicchè ci si trova sempre più spesso a confrontarsi con i misteri, gli inganni e le insidie che ammantano come in un thriller le leggi che riguardono e regolano la professione forense.
L’equo compenso, probabilmente dopo l’approvazione in Senato del maxiemendamento al decreto fiscale è giunto alla puntata conclusiva, ma Hercule Poirot non ha ancora scovato nè il movente, nè il corpo del reato, mentre sul nome dell’assasino molti avvocati già da tempo nutrono fondati sospetti.
Michele Arcangelo Lauletta

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