DISCORSO DI INSEDIAMENTO AL COA DI NAPOLI DELL’AVV. GIUSEPPE SCARPA

28 Marzo, 2017 | Autore : |

 

 

Napoli, 28 marzo 2017

 

 

 

Ill.mo Sig. Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, Consiglieri e colleghi tutti

in data 24.3.17 ho ricevuto una mail certificata che mi invitava per il giorno 28 Marzo 2017 alla cerimonia della mia proclamazione quale Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Napoli.

Questa convocazione, per cui non nascondo di essermi emozionato nel momento in cui mi è stata comunicata, giunge a seguito della mia candidatura alle elezioni per il rinnovo dei componenti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli per l’anno 2012, ultimo anno in cui a tal fine si sono svolte le elezioni.

Comprenderete dunque il mio stupore, nel sapere che dopo ben cinque anni mi sarei di colpo ritrovato tra i membri del COA di Napoli eletti nella tornata elettorale del 2012; eppure dopo un primo momento, sicuramente vissuto con sconcerto, ho compreso che questa circostanza era quasi una logica conseguenza di quanto accaduto, dalle elezioni ad oggi.

In questi anni infatti mi sono impegnato nel perseguire con coerenza ed onestà i valori professionali e politici in cui  credo, prendendo parte attiva in tutti quei consessi politico-forensi in cui ho sempre cercato di esprimerli, con forza e perseveranza.

Già in occasione del XXXI Congresso Nazionale Forense, tenutosi a Bari nell’ottobre 2012, a cui partecipai quale delegato eletto nel Distretto di Napoli, ebbi modo di manifestare, assieme ad altri 308 colleghi, il mio dissenso (che tuttora permane) rispetto alla nuova Legge professionale forense. Allora tale legge era solo di progetto normativo, poi effettivamente approvato in Parlamento, nel dicembre 2012. Quella legge, che allora contrastai con forza, ha ormai ampiamente dimostrato di essere profondamente lacunosa e per niente rispondente alle esigenze della nostra categoria professionale, di cui pure pretende di essere la regola.

Non a caso nella sede congressuale di Bari forti furono gli echi delle numerose criticità che essa prospettava, tanto da suggerire l’approvazione, con 708 voti favorevoli, di una mozione con cui si chiedeva di impegnare gli organi di rappresentanza di categoria affinché chiedessero che, nelle successive legislature, il Parlamento modificasse le disposizioni che presentavano punti di maggiore problematicità. Tale mozione, come spesso avviene all’interno della nostra categoria, è stata puntualmente disattesa ed ignorata dalle nostre istituzioni forensi.

Pure le storture che contribuii a denunciare, già a Bari, hanno generato enormi e prevedibili aberrazioni: prima tra tutte proprio il regolamento elettorale per il rinnovo dei componenti dei Consigli degli Ordini circondariali forensi.

Detto regolamento, passato alla storia della nostra categoria con il nome, niente affatto edificante di “SOVIETICHELLUM”, proprio a Napoli ha visto un forte contrasto, grazie alla battaglia politica e professionale che ha visto come principali protagonisti due giovani e tenaci colleghi del nostro Foro, impegnati in una lunga lotta di sensibilizzazione che informasse i nostri colleghi degli evidenti profili totalitari ed illegittimi del sistema di voto disciplinato da quel regolamento. Si trattava peraltro di norme che qualsiasi giurista, capace o in buona fede, avrebbe riconosciuto come illecite, ma nonostante questo, tali norme sono state avallate dalle istituzioni forensi italiane.

Anche grazie alla forte mobilitazione politica partita da Napoli, associazioni e singoli avvocati hanno portato il SOVIETICHELLUM al vaglio della Giustizia Amministrativa, che ne ha ovviamente dichiarato l’illegittimità.

Oggi la situazione resta pertanto gravemente compromessa. Da un lato non si può che apprezzare la prudenza dimostrata dal Consiglio dell’Ordine di Napoli, che in pendenza dei ricorsi avverso il regolamento elettorale, ha sospeso le elezioni indette per l’anno 2014, dimostrando una sensibilità che ben si addice alla antica ed onorevole tradizione del Foro partenopeo. Dall’altro, la prorogatio sine die in cui si trova il Consiglio che oggi mi accoglie, genera una drammatica carenza di legittimazione dell’Ente, che mi impegnerò a cercare di far terminare al più presto. La vicenda del regolamento e delle prorogatio, condita da elezioni svoltesi con un regolamento illegittimo, mina infatti alla base l’autorevolezza dei nostri Consigli dell’Ordine. Se non saremo in grado, come Consiglio dell’Ordine di Napoli, di offrire soluzioni normative avanzate ed all’altezza del problema, mancheremo ad un nostro preciso dovere, giuridico e morale.

Un dovere morale, quello del mio impegno, che mi ha sorretto anche in occasione del XXXIII Congresso Nazionale Forense, tenutosi a Rimini nell’ottobre 2016, al quale ho partecipato, come delegato eletto nel Distretto di Napoli, ancora una volta grazie al sostegno ed alla fiducia di centinaia di colleghi liberi, esattamente come era già accaduto in occasione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine di Napoli a cui ho partecipato nel 2012.

Il Congresso Nazionale di Rimini ha segnato un momento drammatico per la nostra categoria, a cui mi sono opposto con tenacia, purtroppo invano. Nell’ambito di una discussione sulla rappresentanza politica dell’Avvocatura, gli avvocati italiani hanno assistito alla fine dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura ed alla nascita di un nuovo soggetto, non più animato da uno spirito sintetico ed unitario, ma deputato alla mera attuazione delle mozioni congressuali: l’Organismo Congressuale Forense.

Si è trattato, per molti versi, di una morte annunciata. L’Organismo Unitario infatti era già stato messo pesantemente in discussione XXXII Congresso Nazionale Forense di Venezia, tenutosi nel 2014. Le ragioni di tanta perseveranza, fallita a Venezia, ma coronata da successo a Rimini, sono facili da intuire: si trattava di eliminare l’incompatibilità e la distanza tra la rappresentanza politica dell’avvocatura e quella istituzionale.

Questo nuovo assetto, a mio parere sbagliato ed in contrasto con la natura ed i fini pubblicistici a cui è tenuta l’istituzione dell’Ordine Forense, ha contribuito a motivare la mia scelta di dar vita, assieme a colleghi di altri Fori italiani, ad una associazione politico forense denominata “Nuova Avvocatura Democratica”, che si propone di ridare slancio al ruolo politico dell’associazionismo forense, uscito ammutolito e marginalizzato dal disegno istituzionale e rappresentativo realizzato a Rimini, nel 2016.

A mio parere infatti, le associazioni forensi devono essere il motore sempre attivo dell’avvocatura, in cui ciascun avvocato deve sentirsi libero di esprimere il suo pensiero rispetto alle condizioni ed alle modalità di esercizio quotidiano della professione, sviluppando con pienezza ed in maniera incondizionata la sua doverosa possibilità di critica del potere costituito.

Il compito delle istituzioni forensi invece, non può e non deve essere quello di circoscrivere tale libertà del singolo collega o delle associazioni. Le istituzioni forensi italiane, oggi pesantemente “di parte”, in ragione di una sciagurata attribuzione a se stesse di un ruolo anche politico, finiscono infatti con lo schiacciare le libertà dei singoli avvocati, utilizzando in modo improprio il doppio ruolo di soggetti politici e di vertici istituzionali, gerarchicamente superiori a tutti gli avvocati, siano essi propri sostenitori ovvero oppositori.

Questa situazione crea un oggettivo vulnus nel rapporto tra rappresentanti e rappresentati, comprimendo in modo inaccettabile la principale facoltà di cui ogni avvocato deve essere dotato: quella autonomia ed indipendenza da ogni forma di potere, che deve portarlo a riconoscersi nell’istituzione non già in ragione di una imposizione autoritaria, ma di una innegabile autorevolezza, fondata innanzitutto sulla terzietà, sull’imparzialità, sulla capacità di esercitare l’equidistanza da tutti e da ciascuno.

In un quadro, normativo e politico, così irto di responsabilità, accettare l’onore a cui oggi sono sottoposto, è per me fonte di una grave consapevolezza, che attiene agli innumerevoli oneri che, ne sono certo, mi verranno riservati nell’esercizio della mia funzione. Oggi, infatti, io sono chiamato a spogliarmi della mia natura di uomo di parte, per divenire soggetto istituzionale, riferimento sicuro delle istanze di tutta l’avvocatura e non solo di quella che, fino a ieri, ho difeso e sostenuto, con passione e determinazione.

Il profondo rispetto che nutro nei confronti di questa istituzione, del Consiglio dell’Ordine Forense, mi impone di orientare le mie future scelte, quale suo nuovo componente, alla riaffermazione del ruolo istituzionale del Consiglio, lavorando perché esso possa ritrovare quella autorevolezza che oggi fatalmente gli manca. Con questo non voglio certamente esprimere una critica a voi, colleghi qui presenti, ma richiamare la vostra attenzione sui due aspetti che non a caso ho voluto analizzare: la delegittimazione legata alla prorogatio sine die e quella che inevitabilmente consegue ad un ruolo politico dell’Organo, che invece dovrebbe essere estraneo ad ogni connotazione partigiana.

Solo riaffermando e riconquistando l’autorevolezza delle istituzioni forensi noi potremo ritrovare il consenso di tutti i colleghi sul loro operato, stemperando un clima di estrema tensione, ormai palese e palpabile all’interno dell’avvocatura italiana, che rischia seriamente di portare al più nefasto degli effetti possibili: la scomparsa stessa dell’Ordine Forense, non più in grado di garantire allo Stato la terzietà imposta dalle leggi e non più riconosciuto dai nostri colleghi come soggetto amico, bensì quale possibile avversario, per ragioni particolaristiche.

Certo, decisioni scellerate, gravissime e tracotanti hanno favorito l’esasperazione dei rapporti e l’esplodere di gravi tensioni all’interno della nostra categoria. Il Consiglio Nazionale Forense ed in particolare il suo Presidente, in questi anni non hanno saputo unire gli avvocati italiani, ma hanno mirato a dividerli, a scavare solchi, sempre più profondi, tra la sete di giustizia e di ascolto di una base molto spesso sofferente, ed incomprensibili scelte, autoreferenziali, autoritarie, che stanno danneggiando l’intera professione forense.

La vicenda dolorosa dei gettoni di presenza (ancora oggi viva nonostante la contrarietà espressa anche con la delibera del Consiglio dell’Ordine di Napoli) così arbitrariamente incamerati dal Consiglio Nazionale Forense, in un momento di estrema sofferenza dell’avvocatura italiana e, per quel che ci riguarda più da vicino, napoletana, necessita che questo Onorevole Consiglio reagisca con atti fermi, che non si limitino ad esprimere perplessità, ma si propongano apertamente di portare ad una rivisitazione di quanto fatto.

La creazione di un giornale politico, che ostenta distanza dalle nostre vicende professionali e si comporta come stampella a vagheggiate scalate politiche della nostra massima istituzione, è un elemento di gravissimo disdoro per la nostra categoria ed acuisce la percezione, che mai si sarebbe dovuta generare, che le istituzioni che reggono l’avvocatura non rappresentino tutti, ma siano al servizio di qualcuno.

Le recenti vicende vissute dal Foro di Napoli, la straordinaria mobilitazione dei colleghi aderenti a Nuova Avvocatura Democratica, di cui sono stato peraltro uno degli esponenti, le petizioni sottoscritte da decine di migliaia di avvocati italiani, che chiedono una contribuzione previdenziale proporzionale al reddito e non più vessatoria, sono gli ultimi elementi che, sul piano strettamente temporale, hanno segnato i mesi precedenti a questa giornata, così speciale per me.

In queste settimane ho digiunato, ho dormito in una tenda, dinanzi al Palazzo di Giustizia, ho lottato insieme a tanti nostri colleghi. Tutto questo non può certo essere dimenticato, rimanendo per sempre impresso nel mio cuore e nella mia mente, ma io oggi sono qui chiamato proprio a far questo: a dimenticarlo, ad essere uomo delle istituzioni. Sono chiamato a dare un punto di vista nuovo e diverso al mio agire, in ragione del fatto che da oggi io rappresento tutti e ciascun collega iscritto al glorioso Foro di Napoli.

Le contraddizioni in cui mi muovo ed in cui tutti noi, cari colleghi, siamo immersi, mi sono note. So bene che, qualsiasi fosse stata la mia decisione, dinanzi all’onore che mi si è presentato, avrei avuto ragioni per poter agire in modo contrario. Se infine ho accettato questo peso, è perché ritengo di poter contribuire ad accelerare un percorso che ci consenta di giungere, nel più breve tempo possibile, al rinnovo dei componenti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli.

Allo stesso tempo, pur consapevole della precarietà del mio mandato, non rinuncerò a lanciare dei messaggi chiari ai colleghi che mi osservano, per dimostrare come io intenda svolgere il ruolo di Consigliere dell’Ordine degli Avvocati. Pertanto, coerentemente con quanto fino ad ora rappresentato, quale primo atto susseguente all’accettazione della carica di Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, sin da questo momento rassegno nelle mani del Presidente Armando Rossi, vertice della delegazione congressuale napoletana e componente dell’ufficio di coordinamento dell’O.C.F., le mie dimissioni irrevocabili quale delegato congressuale, ritenendo inopportuna la sussistenza in capo ad uno stesso soggetto di due cariche, così incompatibili e nemiche l’una dell’altra.

Nel ringraziare voi tutti, chiedo che la presente lettera venga allegata al verbale della odierna riunione consiliare e trasmessa sia al Consiglio Nazionale Forense che all’Organismo Congressuale Forense.

Cercherò di rendere al massimo il mio impegno per tutto il periodo di tempo in cui ricoprirò l’onorevole carica di Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, tenendo sempre ben presente che prima ancora di essere Consigliere, ho scelto e scelgo di essere un Avvocato libero.

Avv. Giuseppe Scarpa

 

 

 

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