PUNITIVE DAMAGES: SENT. N. 16691/17. MUCH ADO ABOUT NOTHING?

13 Marzo, 2018 | Autore : |

 

 

L’associazione Nuova Avvocatura Democratica è particolarmente attenta alla possibile introduzione dell’istituto dei punitive damages all’interno dell’Ordinamento Giuridico italiano. Questo lavoro di una nostra associata, l’Avv. Claudia Testa, consente di ragionare su alcuni riferimenti in merito ad un tema che verrà affrontato e sviluppato da NAD nei prossimi mesi, attraverso proposte concrete, capaci di orientare il legislatore al recepimento di questo istituto, proprio della tradizione e della cultura giuridica degli ordinamenti cosiddetti di “common law”.

 

 

L’istituto dei danni punitivi ha sempre affascinato i giuristi appartenenti
ai sistemi di civil law sia perché rappresenta qualcosa di estraneo al
concetto classico di responsabilità civile e risarcimento del danno
tradizionalmente inteso, sia perché, d’altro canto, le prospettive che
l’introduzione di tale categoria giuridica, all’interno di un sistema come
il nostro, sono indubbiamente di grande interesse.
Nell’ordinamento italiano vigente l’idea della punizione e della sanzione
era considerata estranea al risarcimento del danno così come indifferente
era considerata la condotta del danneggiante.
In particolare alla responsabilità civile si riteneva fosse assegnato il
compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che avesse subito
la lesione mediante il pagamento di una somma di denaro che tendesse
ad eliminare le conseguenze del danno arrecato. E ciò per qualsiasi
tipologia di danno, compreso il danno non patrimoniale. Al risarcimento,
dunque, non potevano riconoscersi finalità punitive.
Questa impostazione, rimasta monolitica per lunghissimo tempo, ha visto
tuttavia un progressivo sgretolamento – negli ultimi anni – ad opera di
alcune pronunce di legittimità per poi culminare con la pronuncia delle
Sezioni Unite dello scorso anno di cui si dirà fra poco.
Si tratta, in particolare, delle pronunce della Suprema Corte n.
11353/2010 e n. 8730/2011 .
La prima di tali decisioni riguarda un’ipotesi di risarcimento danni da
illecito sfruttamento del diritto all’immagine. Il caso in questione
riguardava un’ipotesi di risarcimento danni da illecito sfruttamento
dell’immagine di un giovane ballerino da parte di una scuola di ballo. In
tale pronuncia la Cassazione per la prima volta superava il concetto per
cui l’autore del fatto illecito sarebbe tenuto a risarcire unicamente il
pregiudizio arrecato al danneggiato utilizzando lo strumento della
retroversione degli utili. Un timido tentativo, dunque, di superare il
dogma della natura meramente compensativa delle regole di
responsabilità civile. Nello stesso solco si inserisce la pronuncia n.
8730/2011 con la quale i giudici di legittimità hanno affermato che, in
tema di risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti all’ illecito
sfruttamento del diritto d’autore, si potesse ricorrere al parametro
costituito dagli utili conseguiti dall’utilizzatore abusivo, mediante la
condanna di quest’ultimo alla devoluzione degli stessi a vantaggio del
titolare del diritto.
Ma il cammino della giurisprudenza su questi temi è stato tortuoso e fatto
anche di diversi arretramenti. Nel 2012, sentenza n. 1781, la Cassazione
affronta nuovamente il tema della riconoscibilità di una sentenza
contenente una condanna al risarcimento di punitive damages, ribadendo
come nel nostro ordinamento il risarcimento del danno dovesse essere
riconosciuto in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del
diritto leso. La vicenda traeva origine da un’azione di risarcimento
intentata da un lavoratore negli Stati Uniti relativamente ai danni subiti
in relazione ad un infortunio sul lavoro. La Corte Suprema del
Massachusetts aveva condannato le società convenute (italiane) a
corrispondere, ciascuna, al lavoratore l’importo di 5 milioni di dollari a
fronte di una richiesta del lavoratore che non superava i 350 mila dollari.
La Cassazione ritenne che la sentenza non potesse essere riconosciuta nel
nostro ordinamento per contrarietà con l’ordine pubblico confermando il
proprio precedente orientamento secondo cui “Non sono risarcibili i
c.d. danni punitivi, in quanto la loro funzione sanzionatoria contrasta
con i principi fondamentali dell’ordinamento interno che assegna alla
responsabilità civile una funzione ripristinatoria della sfera
patrimoniale del soggetto leso.
Un passo deciso in avanti, pur nel rispetto della concezione
“compensativa” del rimedio risarcitorio, è rappresentato dalla sentenza
numero 7613 del 15 aprile 2015 con la quale la Corte di Cassazione ha
ammesso per la prima volta la compatibilità Istituto delle astreintes con
il nostro ordine pubblico.
Il Collegio, per quel che qui interessa, pur sottolineando il precipuo fine
riparativo dello strumento risarcitorio, forse per la prima volta ammette
che accanto ad esso vi possano essere finalità diverse, sanzionatorie e
deterrenti.
La funzione afflittivo deterrente dei danni punitivi piace in Italia, anzi
“strapiace” (cit. Ponzanelli). Quel che spaventa è la loro concreta
applicazione e quantificazione . Ci si muove lentamente, dunque, alla
ricerca di un giusto equilibrio fra una funzione del risarcimento
riparatoria e quella di deterrenza o sanzionatoria.

 

 

 

L’ORDINANZA del 16 MAGGIO 2016

 

 

Con l’ordinanza n. 9978 depositata il 16 maggio 2016
la prima sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno un
intervento delle Sezioni Unite sul tema della riconoscibilità delle
sentenze straniere comminatorie di danni punitivi.
L’interrogativo di fondo è sempre il medesimo: la funzione riparatoria
compensativa è davvero l’unica attribuibile al rimedio risarcitorio?
Un breve cenno al caso concreto da cui prende le mosse l’ordinanza per
meglio comprendere la questione.
La Corte d’Appello di Venezia, su richiesta di una società statunitense,
aveva ritenuto delibabili tre sentenze emesse dal giudice statunitense con
le quali il predetto giudice aveva accolto la domanda risarcitoria proposta
dalla società in relazione all’indennizzo corrisposto ad un motociclista,
vittima di danni alla persona per un incidente avvenuto in occasione di
una gara motociclistica. Il danno si collegava ad un vizio del casco
prodotto da una società italiana e rivenduto dalla società americana. Il
giudizio promosso dal motociclista si era concluso con una transazione,
accettata dalla società americana, transazione che conteneva anche la
condanna per danni. Il giudice americano aveva ritenuto che la predetta
società dovesse essere manlevata da quella italiana.
Nel giudizio di delibazione, la Corte d’Appello di Venezia aveva accolto
la domanda di delibazione sul presupposto che, dal contenuto delle
sentenze, non risultava fossero stati risarciti danni punitivi . Invero, la
sentenza americana si limitava a riconoscere che la società italiana era
tenuta a pagare a quella americana l’importo della transazione che non
faceva alcuna menzione circa la natura dei danni risarciti.
In sede di legittimità la società italiana denunciava sia violazione dell’art.
64 lett. g) L. n.218/95 in punto contrarietà all’ordine pubblico, sia vizio
di motivazione non avendo la Corte d’Appello considerato che,
effettivamente, la società italiana era stata condannata a reintegrare la
società americana con riferimento ad una condanna risarcitoria che
comprendeva anche i punitive damages, in assenza totale di motivazione
da parte del giudice americano circa i criteri seguiti per la determinazione
del danno.

 

 

LA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE

 

 

“Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo
il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito
la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e
quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi
ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di
origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una
sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però
corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento
straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di
condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi
avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto
straniero e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico”. Questo il
principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza n.
16601/17 del 5 luglio 2017, con cui viene riconosciuta per la prima volta
la compatibilità con l’ordinamento italiano dei punitive damages.
Si tratta di una Sentenza molto attesa la cui portata è stata largamente
enfatizzata ma il cui contenuto, in realtà, era largamente prevedibile sulla
scorta dell’evoluzione giurisprudenziale di cui si è detto in precedenza.
Fondamentalmente due le questioni affrontate dalla Corte: la nozione di
ordine pubblico letta in chiave evolutiva e la c.d. natura “polifunzionale”
della responsabilità civile.
La Corte ha ritenuto che l’europeizzazione del diritto internazionale
privato e processuale imponga una nuova lettura del concetto di ordine
pubblico come limite al riconoscimento in Italia delle sentenze straniere.
Non più ordine pubblico quale baluardo e strumento di difesa dei valori
nazionali in opposizione a quelli stranieri, bensì come chiave di lettura e
“veicolo di promozione” di principi comuni tra gli Stati.
L’indirizzo offerto dalle S.U. sembra, dunque, essere quello di una
maggiore permeabilità nei confronti del diritto internazionale e
soprattutto comunitario, alla ricerca di un punto di equilibrio tra il
tradizionale controllo sull’ingresso di norme o sentenze straniere che
potrebbero minare la coerenza interna dell’ordinamento e una funzione
promozionale dei valori tutelati dal diritto internazionale.
Ricerca di valori unificanti, quindi, e non già di impedimenti
all’esecuzione.
Non è più sostenibile per le S.U. negare il riconoscimento dei danni
punitivi in Italia, in ragione di una asserita incompatibilità della natura
sanzionatoria degli stessi con la funzione compensativa tradizionalmente
attribuita alla responsabilità civile nel nostro ordinamento.
Ciò in virtù dell’evoluzione che l’istituto della responsabilità civile ha
avuto negli ultimi anni. Si pensi agli interventi legislativi, sia sul fronte
interno che comunitario, che hanno introdotto in più occasioni, in
relazione a discipline specifiche, rimedi risarcitori di tipo settoriale a
carattere non compensativo o ripristinatorio ma prevalentemente
deterrente o sanzionatorio: si pensi, tra i molti esempi, ai rimedi delle
astreintes in materia di proprietà intellettuale, all’art. 709 ter c.p.c.,
all’art. 614 bis c.p.c. o alla condanna, nel caso di lite temeraria, a un
risarcimento del danno equitativamente determinato.
La responsabilità civile ha così, progressivamente assunto una
connotazione polifunzionale per rispondere alle esigenze mutevoli della
società che hanno sollecitato la necessità di rimedi privatistici che vadano
oltre la sola compensazione del danno.
Compatibilità astratta dell’istituto dei danni punitivi, dunque, con un
però: la sentenza straniera dovrà essere ancorata ad un dato normativo
che permetta la tipicità delle ipotesi di condanna, la loro prevedibilità e i
limiti di natura quantitativa al risarcimento stesso.
Il giudice italiano dovrà dunque verificare che il giudice straniero abbia
liquidato i punitive damages sulla base di un’espressa previsione
normativa dell’ordinamento straniero (principio di legalità) che
identifichi il perimetro della fattispecie (tipicità) e ponga limiti
quantitativi chiari alla condanna (prevedibilità).
Nessuna apertura, dunque, alla liquidazione di danni punitivi da parte dei
giudici nazionali se non in forza di interventi legislativi specifici. Ciò in
forza della riserva di legge e del principio di legalità previsti dall’art. 23
e 25 della Costituzione. Il richiamo all’ancoraggio normativo
rappresenta, forse, la parte più interessante della sentenza. Abbiamo più
che mai bisogno di un sistema normativo ordinato a garanzia dei singoli.
Un ritorno alla centralità della legge che eviti il ruolo di supplenza cui la
giurisprudenza è stata negli ultimi anni, a più riprese, chiamata.

Avv. Claudia Testa  – socia NAD, Foro di Bergamo 

 

 

 

Riferimenti bibliografici

Mariotti, Masini, Caminiti – Danni Punitivi – Maggioli
Marco Schirripa, I danni punitivi nel panorama internazionale e nella
situazione italiana: verso il loro riconoscimento?
Cecilia Carrara, Danni Punitivi, un’apertura alla nuova responsabilità
civile – Quotidiano del Diritto – il Sole 24Ore del 10.7.2017;
Scognamiglio, I danni punitivi e le funzioni della responsabilità civile,
Corriere Giuridico 7/2016
Ponzanelli, Dalle Sezioni Unite solo uno spiraglio per il danno punitivo
– Quotidiano del Diritto – il Sole 24Ore del 14.7.2017
Milano, Danni Punitivi, primo passo ma ci vorrà una legge ad hoc
Quotidiano del Diritto – il Sole 24Ore del 7.7.2017

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