CASSA FORENSE: LA MORTE DELLA RAGIONE.

11 Aprile, 2017 | Autore : |

 

Non mi è difficile analizzare gli atteggiamenti paternalistici ed arroganti che provengono sempre più spesso dalle istituzioni forensi italiane e dalla Cassa Forense, in particolare. Si tratta di atteggiamenti volgari, che tacciano di ignoranza ed oscurantismo le decine di migliaia di colleghi che si rifiutano di obnubilare il proprio giudizio, rivendicando invece il diritto ad usare la ragione ed il fact checking come strumenti che consentano di vagliare le tante menzogne diffuse dall’Ente previdenziale degli avvocati.

Nella storia dei regimi autoritari la delegittimazione del popolo da parte delle elites, quasi sempre autoreferenziali e distanti dalla realtà, si è spesso manifestata attraverso atteggiamenti oscillanti tra il paternalismo, il disprezzo, la noncuranza. I delegati ed il Consiglio di amministrazione della Cassa di Previdenza Forense sono uno straordinario esempio di tale atteggiamento. Non solo questi soggetti rifiutano di cogliere ogni critica come un normale momento di dialettica politica, ma tacciano di inconsapevolezza e di ignoranza tutti coloro che si rifiutino di prestare fede alle fandonie propinate dai benevoli megadelegati naturali, luppman, consapevolissimi.

La fandonia più grande di tutte è il welfare C-attivo, ovvero quel sistema assistenziale ed affaristico che consente ai dirigenti della Cassa Forense di fare affari e muovere denari, di costruirsi entrature e prospettive politiche, ma che non allevia in alcun modo il problema che la base dell’avvocatura solleva nei confronti della Cassa, ovvero l’insosteniblità di una contribuzione minima slegata dal reddito.

Naturalmente non c’è peggior somaro di chi voglia esserlo, ostentando con sicumera una conoscenza delle scelte e degli stati d’animo dei propri rappresentati, che sia però conforme unicamente al pensiero dei secidenti rappresentanti.

Basterebbe poco ad un delegato alla Cassa Forense che possieda un barlume di ragione per capire che il racconto di minimi contributivi slegati dal reddito degli avvocati, come frutto di una imposizione della L. n. 247/2012, è una menzogna, né più e né meno.

Basterebbe pochissimo a un tale delegato per capire che la cosiddetta “cittadinanza previdenziale”, sbandierata dalla Cassa Forense come una conquista per l’avvocatura dai redditi più bassi, non è affatto una vittoria per tali colleghi, ma rappresenta un ulteriore onere, che li sta portando, a migliaia, a cancellarsi dall’albo professionale.

Basterebbe ancora meno ad un delegato onesto intellettualmente, per ammettere che l’intero impianto della L. n. 247/2012 è stato studiato per selezionare l’avvocatura, favorendo i ricchi, i vecchi e gli istituzionalizzati, praticando sistematiche vessazioni nei confronti delle donne, dei giovani e dei più deboli.

Certo, un avvocato consapevole, quando gli si parla di sostenibilità del sistema, mentre lui sta morendo di fame, può scegliere tra il sorridere o il ricorrere a forme di protesta e di critica non conformi con il decoro tanto caro a quei delegati alla Cassa che intascano quasi 600 euro per ogni seduta a cui partecipino, ma in fondo, appare difficile che un delegato sprovvisto di ragione possa ammettere che il solo ammontare dei gettoni di presenza intascati dai delegati alla Cassa Forense sia superiore all’ammontare dei redditi di almeno un terzo degli avvocati italiani.

 

Questo non è più il momento di dare credito alle menzogne, arroganti e paternalistiche, di quei delegati alla Cassa che continuano a considerare gli avvocati italiani come una terra di conquista per la propria propaganda. Questo è il momento di riprendersi la propria indipendenza e reagire ai tentativi di denigrazione con la rivendicazione delle nostre capacità di discernimento.

Il 20 ed il 21 aprile, a Roma, sotto la sede della Cassa Forense, avvocati consapevoli andranno a pretendere giustizia, una previdenza equa, la fine del welfare C-attivo e dell’affarismo di cui gli irragionevoli delegati alla Cassa si sono resi protagonisti negli ultimi anni.

 

La morte della ragione può valere per chi ha la pancia piena e la testa vuota, ma non per chi cerca la verità ed ha bisogno di giustizia. Noi quella morte non possiamo accettarla, perché non abbiamo alternative.

CERCA