COME CONTRASTARE LA STUPIDITA’ DI MASSA DEI DIPENDENTI DALLA SEMPLIFICAZIONE.

28 Agosto, 2018 | Autore : |
Lo spunto per questo articolo deriva dall’analisi di un articolo molto interessante, di cui riporto il link, per chi voglia leggere.
Is google making us stupid?
I meccanismi della semplificazione che portano all’analfabetismo funzionale non sono casuali, né possono essere adeguatamente contrastati per mezzo di una moral suasion che non si basi sulla costruzione di un pensiero funzionale. Imparare a pensare viene prima del pensare, ma allo stesso tempo, se intendiamo il pensiero come strumento per il raggiungimento di uno scopo, il valore funzionale da attribuire ad esso viene reso difficilmente individuabile in un contesto sociale in cui la correlazione tra capacità di pensiero e risultato è sempre più labile ed aleatoria.
La richiesta ossessiva di feedback appaganti sul piano cognitivo, il rifiuto dello sforzo di approfondimento, non possono essere considerati un fenomeno di costume, da guardare con leggerezza. Essi creano una profonda e vasta area di frattura tra conoscenza che genera potere ed ignoranza impotente. Il concetto stesso di pensiero individuale cede il passo alla massificazione dei responsi del pensiero, contenuti nei big data. 
“It is clear that users are not reading online in the traditional sense; indeed there are signs that new forms of “reading” are emerging as users “power browse” horizontally through titles, contents pages and abstracts going for quick wins. It almost seems that they go online to avoid reading in the traditional sense.”
Is google making us stupid? Article published by Nicholas Carr 
La presa d’atto che il web abbia un valore formativo, o deformante, se si vuole, sul pensiero umano, impone una riflessione che riporti l’homo nudus alla sua capacità di elaborare strategie logiche funzionali, capaci di dargli libertà, sul piano politico e sociale ed allo stesso tempo valore e reddito, dal punto di vista economico. In questo senso l’indagine sul surplus di valore in cui è immerso homo nudus nelle società dell’opulenza è stata troppo spesso sottovalutata da chi ha inteso prospettare un diverso modello di sviluppo, più equo e più umano. Ce ne siamo occupati spesso in questi mesi e sicuramente ne parleremo ancora, ma l’irrazionalità che accompagna il concetto di ricchezza e di pensiero “forte”, se con questa accezione intendiamo il pensiero capace di portare beneficio al suo ideatore, sta determinando una rincorsa al pensiero superficiale e debole, che rischia di generare un’umanità di serie “B”, irrimediabilmente estranea alle forme di comprensione ed elaborazione cognitiva superiori. Stiamo andando verso un’umanità immersa nella serena inconsapevolezza, che non sfrutta nemmeno una minima parte delle potenze di calcolo delle macchine contemporanee, ma utilizza modalità di approccio al sapere estremamente semplificate, scarne, squalificanti. Gli effetti di questo impoverimento del pensiero di massa devono essere analizzati con preoccupazione.
 Thanks to the ubiquity of text on the Internet, not to mention the popularity of text-messaging on cell phones, we may well be reading more today than we did in the 1970s or 1980s, when television was our medium of choice. But it’s a different kind of reading, and behind it lies a different kind of thinking—perhaps even a new sense of the self. “We are not only what we read,” says Maryanne Wolf, a developmental psychologist at Tufts University and the author of Proust and the Squid: The Story and Science of the Reading Brain. “We are how we read.”
Nicholas Carr, ibidem
L’incapacità, sempre più diffusa, di leggere a fondo un documento, l’abitudine di scorrere i titoli o leggere piccole parti di testi che richiedano sforzi cognitivi prolungati, sta diventando compatibile con il normale stile di vita della popolazione mondiale. Ciò genera processi di atrofia intellettiva e una vera e propria dipendenza dalla semplicità. Divenire “addicted to semplification” è molto meno infrequente di quanto si possa pensare. Il bisogno di rapportarsi a ragionamenti semplici, non faticosi, relega questi individui in una sfera cognitiva e comportamentale di serena inconsapevolezza. In altri termini, l’impossibilità di valutare direttamente gli effetti negativi del pensiero basico, in ragione della casualità premiante della società opulenta, non fa scattare nella mente del “semplice” nessun meccanismo di consapevolezza. Il semplice diventa intellettuale, non in ragione delle sue skills, ma perché, pur non possedendo skills, il suo pensiero ed il suo agire funzionano e dunque, perché cambiarlo?
La valorizzazione del pensiero complesso diviene dunque un preciso compito della buona politica. Affermare che lo sforzo cognitivo sia profittevole, garantire a chi profonde maggiore impegno nel pensiero una resa adeguata, è sicuramente il modo migliore per contrastare l’impoverimento intellettuale che caratterizza l’Italia del nostro tempo. La cosiddetta “fuga dei cervelli”, fenomeno spesso trattato come fatto di costume dalla banalità di massa, è in realtà il punto di crisi di una società che diventa sempre più povera, mano a mano che perde la capacità di trattenere al proprio interno le menti migliori.

Sometime in 1882, Friedrich Nietzsche bought a typewriter—a Malling-Hansen Writing Ball, to be precise. His vision was failing, and keeping his eyes focused on a page had become exhausting and painful, often bringing on crushing headaches. He had been forced to curtail his writing, and he feared that he would soon have to give it up. The typewriter rescued him, at least for a time. Once he had mastered touch-typing, he was able to write with his eyes closed, using only the tips of his fingers. Words could once again flow from his mind to the page.

But the machine had a subtler effect on his work. One of Nietzsche’s friends, a composer, noticed a change in the style of his writing. His already terse prose had become even tighter, more telegraphic. “Perhaps you will through this instrument even take to a new idiom,” the friend wrote in a letter, noting that, in his own work, his “‘thoughts’ in music and language often depend on the quality of pen and paper.”

“You are right,” Nietzsche replied, “our writing equipment takes part in the forming of our thoughts.” Under the sway of the machine, writes the German media scholar Friedrich A. Kittler , Nietzsche’s prose “changed from arguments to aphorisms, from thoughts to puns, from rhetoric to telegram style.”

Ibidem 

 

La scuola assume un ruolo importantissimo in questa doverosa riscoperta del valore del pensiero profondo. Il sistema massificato di istruzione pubblica italiana, teso a livellare verso il basso le capacità cognitive, imperniato su concetti falsamente democratici, in realtà mediocratici e parassitari, è il peggior nemico della ricerca della complessità. Mi sono già occupato di definire la differenza tra complessità e complicazione in un articolo che ripropongo:

 

Il ricatto del banale. I dipendenti dalla semplificazione e il dominio della banalità.

 

Nell’articolo riproposto mi occupavo delle varie differenze tra semplicità, semplificazione, complessità, complicazione. In particolare proponevo lo sviluppo delle matrici della complessità, tese a mostrare, tra i vari effetti, che la banalità è nemica della complessità e che rinunciare alla complessità del pensiero porta alla vittoria del pensiero complicato, seppure insignificante e banale.

 

Ritornando ai principi logici che dovrebbero guidare l’azione politica moralmente apprezzabile, non possiamo non ritornare ad una nuova declinazione della semplicità, che sfugga al male della banalità. Riflettendo su queste componenti dell’agire politico otteniamo delle coppie interessanti:

complessità – complicazione

semplicità – banalità. 

La matrice derivante da questa mappa logica è il centro di un ripensamento complessivo dell’agire politico moralmente orientato, che ponga l’etica pubblica in cima ai suoi obiettivi. Ragionando a contrario infatti, questa matrice ha il pregio di impedire il suo pieno sviluppo:

complessità – banalità 

complicazione – semplicità. 

Non si riesce ad immaginare una complessità banale, né una complicazione semplice, e questo deve aiutarci a capire che la semplicità può far rima con la complessità e che la complicazione è sempre espressione della banalità:

complessità – semplicità

complicazione – banalità. 

La matrice di partenza genera dunque due successive associazioni concettuali, una inversa ed una grossomodo sintetica, giungendo ad opporsi alla banalità ed alla complicazione, rivendicando la possibilità di un agire e di un pensiero complesso, nella sua semplicità, qualora a guidarlo ci l’etica pubblica. Si tratta indubbiamente di analisi inusuali nel panorama politico forense italiano, ma ciò non può che rimandare al punto di partenza di questo ragionamento: la politica contemporanea si sta facendo ricattare dalla banalità e grazie all’uso della complicazione ed alla distorsione della semplicità, difende meccanismi di selezione inversa che portano la mediocrità ad imporsi sulle capacità.  

 

 

 

Le leggi della banalizzazione, il dominio della banalità, incidono pesantemente anche sugli effetti della divulgazione del pensiero complesso. La popolarità dei meccanismi cognitivi rudimentali, istintivi, capaci di stimolare risposte immediate da parte del ragionatore scadente, porta ad una sorta di “zucchero” mentale, di cui si finisce per diventare schiavi. La schiavitù dell’immediatezza riesce ad impedire che nella mente del drogato della semplificazione si formino ragionamenti a catena complessa, in grado di illustrare aspetti profondi e vari di questioni e tematiche. Ecco che per mezzo di questa dipendenza si forma un cittadino diminuito, che si rivolge ai media senza alcuna predisposizione alla comprensione, ma con una spiccata tendenza alla ricerca di contenuti appaganti, semplici, semplificati, banali, spesso insignificanti e falsi.

La teoria dei veri, che eleva il verosimile al vero, si nutre di questo genere di osservazioni e spiega molto bene i paradossi dell’insignificanza. Le proposte tese a rieducare i drogati della semplificazione non possono ignorare che il pensiero complesso non è istintuale, né connaturato a ciascun cittadino, ma si ottiene attraverso un percorso di studio e crescita formativa che lo Stato deve cercare di portare avanti, se intende davvero preservare il livello mentale dei propri cittadini.

 

Today, in the age of software, we have come to think of them as operating “like computers.” But the changes, neuroscience tells us, go much deeper than metaphor. Thanks to our brain’s plasticity, the adaptation occurs also at a biological level. […]

The Internet is a machine designed for the efficient and automated collection, transmission, and manipulation of information, and its legions of programmers are intent on finding the “one best method”—the perfect algorithm—to carry out every mental movement of what we’ve come to describe as “knowledge work.”

Google’s headquarters, in Mountain View, California—the Googleplex—is the Internet’s high church, and the religion practiced inside its walls is Taylorism. Google, says its chief executive, Eric Schmidt, is “a company that’s founded around the science of measurement,” and it is striving to “systematize everything” it does. Drawing on the terabytes of behavioral data it collects through its search engine and other sites, it carries out thousands of experiments a day, according to the Harvard Business Review, and it uses the results to refine the algorithms that increasingly control how people find information and extract meaning from it. What Taylor did for the work of the hand, Google is doing for the work of the mind.

Ibidem 

 

 

 

I tentativi dei motori di indirizzo e ricerca di portare ad una uniformità delle modalità di accesso all’informazione non possono non ritenersi potenzialmente devastanti per la varietà e sulla profondità del pensiero umano. Moltissimi concetti che ho tentato di applicare alla degenerazione cognitiva dell’avvocatura italiana, inclusa la bulimia cazzoide,  stanno ormai diventando delle piaghe autoreplicanti, di fronte alle quali la primazia della logica profonda viene sbaragliata senza alcuna difficoltà. Il primato della ragione, intesa come insieme di skills volte a consentire una comprensione profonda ed accurata della realtà, è minacciato sempre più dalla banalizzazione e semplificazione del ragionamento basico, largamente diffuso. Servirebbe che attorno ai temi della complessità si organizzassero progetti di riqualificazione del pensiero umano, che peraltro avrebbero enorme impatto sociale ed economico, consentendo di recuperare una enorme quantità di valore dispersa nella riparazione dei guasti generati dalla stupidità e dalla superficialità dominante.

 

Il tema è sicuramente di grandissima importanza, anche in prospettiva futura, per quanto sia di difficile divulgazione, anche per gli effetti distorsivi noti come “Dunning – Kruger”. Per ottenere che il primato della conoscenza profonda si imponga alla generalità dei consociati, occorre superare il relativismo solipsistico che porta ogni ignorante e stupido a potersi credere potenzialmente superiore al colto e all’intelligente. Perché però ciò accada e venga codificato su vasta scala, occorre che la società codifichi una serie di effetti e “ricompense”, capaci di individuare le persone dotate di un pensiero profondo in grado di fungere da guida. Una delle contraddizioni insanabili che deve occuparci, se vogliamo uscire dal problema in modo produttivo, riguarda proprio il problema dell’autopercezione ed autovalutazione. Il meccanismo di alimentazione della banalizzazione del pensiero fagocita la capacità di discernimento e l’autorevolezza del giudizio esterno, riportando ogni forma di conoscenza al rango subordinato dell’opinabile. L’utilizzo disinvolto del dubbio iperbolico, l’assenza di punizioni sociali che generino una sorta di “stop”, con obbligo di inversione ad “U” per il pensiero debole, fortificano gli individui non dotati di capacità cognitive profonde, rendendoli ancora più sicuri della propria sostanziale efficienza e ciò non fa che rendere sempre più difficile l’affermazione, quale sistema cognitivo dominante, del pensiero complesso e profondo. Occorre impegnarsi perché la situazione cambi, investendo nei protocolli formativi ed educativi che indirizzino i giovani cittadini all’utilizzo del pensiero complesso. E’ un’urgenza sociale che in Italia dovremmo cogliere, senza più alcun indugio, se vogliamo restare al passo con lo sviluppo di paesi che sotto il profilo delle capacità cognitive generali ci hanno surclassato da tempo e continuano ad aumentare il gap nei nostri confronti.

 

Avv. Salvatore Lucignano

 

 

 

 

 

 

 

CERCA