Previdenza Forense: necessario un bagno di realtà. Qualche numero

16 Giugno, 2019 | Autore : |

Il bilancio tecnico di Cassa Forense al 31.12.2017 evidenzia delle criticità strettamente legate alle dinamiche reddituali di categoria e ad un sistema disegnato a misura di un’avvocatura idealmente in forte espansione reddituale e numerica.
La realtà, di fatto, va in direzione opposta rispetto al disegno di chi ha costruito l’attuale sistema, trovandoci al cospetto di una categoria in grave contrazione in termini di redditi e numero complessivo iscritti. Veniamo ai dati.
La valutazione appare avvalorata dall’esame della dinamica del saldo previdenziale, numero rappresentativo della differenza algebrica fra: entrate per contributi previdenziali ed uscite per prestazioni pensionistiche.
Dall’ultimo bilancio tecnico, si evidenzia che il saldo previdenziale si prevede in negativo al 2042 di circa 72 milioni di euro (pagina 28 relazione bilancio tecnico al 31.12.2017) con dinamiche in peggioramento sino al 2055, anno dal quale si prevede un’inversione, con ritorno in positivo al 2063. Da sottolineare che detta evenienza era collocata solo al 2048, se si esamina la relazione al bilancio tecnico al 31.12.2014 e con saldi negativi sensibilmente contenuti rispetto a quelli previsti con l’ultimo strumento previsionale. Dunque è corretto ed avvalorato dire che la dinamica dei conti è in fase di peggioramento ed il sistema appare in affanno in termini di capacità di lettura della realtà attuale della categoria. Detta prospettiva sembra, ad onor del vero, premiare la scelta di una solida patrimonializzazione dell’ente con conseguente avvicinamento dello stesso al paradigma di ente previdenziale a capitalizzazione. Detta scelta potrebbe rilevarsi strategica al fine di “guadare” gli anni con saldi negativi, compensati con la redditività del patrimonio.
Appare, inoltre, fondamentale mettere il focus su un altro dato in grave deterioramento: il reddito medio dei neo – iscritti, dimezzatosi da un bilancio tecnico all’altro da circa 12.000 a circa 6.000 euro annui pro capite. Detta circostanza rende ancora più odiosa ed insostenibile la soglia minima inderogabile di contribuzione.
Fa da contraltare a detta situazione in entrata il fenomeno dei pensionati attivi che vede la metà degli stessi non pagare i contributi dovuti. Detta situazione appare particolarmente iniqua, considerata la circostanza che il fenomeno vede protagonisti soggetti i quali, attraverso la quota di pensione a calcolo retributivo, traggono dal sistema molto più di quanto hanno conferito.
L’insieme di detti dati sembra suggerire un’evidenza alquanto chiara: il sistema, ad oggi, assolve alla funzione di garantire tanto (troppo) i pensionati, i quali godono di trattamenti sbilanciati, a carico della platea dei contribuenti, se relazionati al montante contributivo versato oltre ad essere massivamente insolventi se ancora attivi lavorativamente. Chiaramente detta situazione alletta una certa fascia di imminenti “pensionandi”, inevitabilmente attestati su posizioni di conservazione dell’attuale assetto per evidenti interessi particolari.
Il riequilibrio appare, pertanto, necessario in direzione intergenerazionale.
Quali soluzioni?
E’ giunta l’ora di chiudere il libro dei sogni e virare verso un sistema che parta dalla fotografia della categoria, scattata nitidamente dai numeri. I conservatori, in coerenza con la difesa delle proprie rendite di posizione, propongono, a modesto avviso dello scrivente irresponsabilmente, un aumento delle aliquote contributive. Qualcuno, spostando il focus dalla questione nodale (probabilmente in modo voluto), quella inter generazionale, propone il tema della questione Nord – Sud. In detto scenario di affanno della categoria l’attivazione di una misura di aumento delle aliquote non potrebbe che provocare l’aggravamento delle dinamiche in atto, con conseguenze negative di vasta portata. Appare, al contrario, necessaria una scelta coraggiosa che possa sprigionare vari effetti positivi: il passaggio al sistema contributivo.
Detta opzione avrebbe l’unico effetto sostenibile nell’immediato per una categoria in larga sofferenza: il ridimensionamento del debito previdenziale dell’ente con conseguente possibilità di approdare all’abolizione delle soglie minime di contribuzione, con l’edificazione di un sistema che prenda e restituisca ad ognuno rispettivamente quanto può e quanto ha effettivamente conferito. Di conseguenza, si arresterebbe il nefando meccanismo di espulsione dal sistema per inedia previdenziale, alimentata dal meccanismo dei minimi inderogabili e nessun territorio si troverebbe nella condizione di conferire al sistema in misura sproporzionata rispetto a quanto gli viene restituito in termini di prestazioni assistenziali e pensionistiche.
Di fatto l’avvocatura ha lasciato in schiacciante maggioranza chi è attestato su posizioni di totale conservazione del sistema attuale. La svolta auspicata appare, pertanto, molto lontana. E la prua dell’avvocatura italiana resta saldamente puntata verso gli scogli…
Avv. Giuseppe Fera
Presidente nazionale NAD
Delegato CDD Cassa Forense quadriennio 2019/2022
Si precisa che il presente articolo è redatto a titolo personale non essendo rappresentativo della posizione di Cassa Forense in relazione ai temi trattati

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