IO VS LA C.N.F. (COSA NOSTRA FORENSE): UNA SOLITUDINE TROPPO RUMOROSA

9 Aprile, 2018 | Autore : |

 

Stamane ho pubblicato un post su facebook, eccolo:

Mercoledì prossimo ci sarà la prima udienza relativa ai procedimenti disciplinari avviati dalla Cosa Nostra Forense per le mie esternazioni su facebook. Ho già chiesto la radiazione. In alternativa, visto che qualche magistrato ritiene che io su facebook esprima legittimamente il mio diritto di critica, all’interno di una battaglia politica, l’Ordine Forense dovrà attribuirmi un encomio e far erigere una statua a grandezza naturale (magari facendomi un pò più bello, se possibile), all‘ingresso del Palazzo di Giustizia di Napoli.

Al di là dello scherzo, siamo finalmente giunti ad un punto nodale della battaglia contro la Cosa Nostra Forense. I social network in questi anni sono stati il nostro solo canale possibile per comunicare ai colleghi, per organizzare la rivolta contro la cupola e contrastare un regime che ha il denaro, il potere istituzionale e politico, che ci ha imposto di lottare con arco e frecce contro la loro artiglieria pesante.

Ho messo in conto che questo scontro dovesse arrivare ad attirare l’attenzione dell’avvocatura italiana, sapendo bene che questa era una delle poche possibilità di rompere il flipper. Non penso a me stesso come ad un martire, non sono così ingenuo da non sapere che la solitudine, in queste battaglie, è connaturata alle azioni.

Posso solo dire che non me ne starò zitto, che ho il diritto di denunciare, che i colleghi hanno il diritto di farsi un’opinione. Ecco, io posso essere radiato e sicuramente questa è la sola sanzione sensata per quello che scrivo ogni giorno della Mafia Forense, ma questo non farà che aumentare il livello dello scontro, quindi ben venga.

La vicenda prende le mosse dall’esposto disciplinare depositato dall’attuale Presidente della Cassa Forense, Nunzio Luciano, contro il sottoscritto. La vicenda NON prende le mosse dall’esposto disciplinare depositato dall’attuale Presidente della Cassa Forense, Nunzio Luciano, contro il sottoscritto.

In realtà tutto comincia alla fine del 2013, nel momento in cui mi apparve ingiustificabile ed inaccettabile che i cosiddetti “minimi contributivi” in misura slegata dal reddito dovessero essere versati da tutti gli avvocati, inclusi coloro che non raggiungevano soglie di guadagno minime, tali da rendere la contribuzione compatibile con il mantenimento di un reddito in grado di soddisfare le esigenze di vita presenti del professionista. Per me partì tutto da lì. Fino a quel momento ero stato impegnato nello studio, nello startup della mia attività professionale e mi ero quasi totalmente disinteressato di ciò che accadeva nella mia categoria. Avevo 35 anni, cominciava per me un’attività che si sarebbe protratta, in modo praticamente ininterrotto, fino ad oggi.

 

Aprile 2016 – Provvedimento di rigetto della richiesta di sequestro del mio profilo facebook a seguito di querela presentata dal Presidente della Cassa Forense, Nunzio Luciano

 

Ciò che immediatamente mi colpì dell’Ordine Forense fu il suo essere sordo a tutto ciò che non appariva allineato a quello che volevano i padrini che lo comandavano. Fin dall’inizio del mio impegno politico notai una grande rassegnazione, una stanchezza ed una indisponibilità all’agire concreto, che permeavano l’animo degli sconfitti dall’assetto della professione che il regime aveva consolidato. Il contraltare di tale apatia era una Cosa Nostra, fatta di rituali stanchi, di distanza dalla vita vera, un insieme di formule vuote, che rendeva grotteschi i valori che invano si tentava di affermare nel paese, all’interno dell’avvocatura.

 

 

29 novembre 2014 – Battaglia contro il Sovietichellum – Post indirizzato all’allora Presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, Mirella Casiello

 

 

Si percepiva, esattamente come si percepisce oggi, un clima di intimidazione e paura, il terrore di andare contro i capi della cupola. Una cappa di omertà e di paura rafforzata dall’acquiescenza di molti, dall’amplificarsi di suggerimenti tesi all’autoconservazione professionale. L’avvocatura, nelle sue articolazioni politiche, mi si mostrava come il regno del “tengo famiglia”, anche grazie all’incessante spinta all’inazione operata dai tanti osservatori del sistema, bisognosi di legittimare se stessi, impedendo a qualcuno di emergere, in un mare di mediocrità e di vigliaccheria.

4 agosto 2015. Battaglia contro le copie di cortesia. Tweet bombs contro il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando

 

Sono stati anni intensi, in cui la battaglia per una nuova avvocatura democratica ha finito con il cannibalizzare molte, forse troppe, energie, ma ha segnato una innegabile evoluzione della mia esperienza umana e professionale, all’interno dell’avvocatura italiana. Ricordo tutto, dai primi tentativi di interlocuzione con le istituzioni, costantemente snobbati, alla scelta di procedere con strumenti diversi, con l’uso del dileggio, del turpiloquio, delle manifestazioni eclatanti, capaci di attirare l’attenzione sull’impotenza che un’intera generazione di avvocati esprimeva e di cui non riuscivo, mano a mano che il mio impegno andava avanti, a non farmi carico.

 

In questi anni di guerra mi è sempre stato chiaro che avrei dovuto agire con la certezza che quanto fatto e documentato potesse servire a tracciare una via. La difficoltà di vedere il risultato di tanti sforzi mi era stata chiara da subito. Troppo forte il regime da sovvertire, troppo pavidi e sparuti i colleghi disposti a mobilitarsi per farlo. E’ cominciata così un’opera personale di ricerca della solitudine, una solitudine troppo rumorosa, per citare qualcuno che sapeva scrivere il bello, fatta di spazi intellettuali, di presidi di denuncia, di ricerca di un dialogo con un’interiorità forgiata da una visione intima, personale, non corruttibile, del mio rapporto con questa professione.

Ho imparato, attraverso il lavoro quotidiano, a farmi forte di questa solitudine, a viverla come un elemento in grado di arricchirmi e farmi compagnia. L’astrazione dalle convenzioni rappresentate dalla mia categoria erano in effetti il primo, irrinunciabile passo per potersi esprimere in modo alternativo a quello convenzionale.

11 luglio 2015 – Diffida al Consiglio Nazionale Forense

 

I video, la fatica, il freddo, il presidio dinanzi al Tribunale di Napoli, le proteste, anche quelle condotte con i compagni di viaggio che hanno sempre più arricchito la lotta, non hanno potuto modificare questa mia convinzione: combattere una guerra contro l’istituzionalizzazione forense, contro il sopruso fattosi giudice e norma, sarebbe stata per sempre un’opera solitaria, da vivere solo in compagnia di me stesso.

Ci vuole coraggio a ricercare l’esposizione. E’ una cosa che ho sempre saputo, di cui ho avuto consapevolezza fin da ragazzo. Il limite tra il ridicolo e l’eroico consiste spesso unicamente nei dettagli. Il discrimine tra follia ed esaltazione, tra sacrificio e martirio, non può calcolarsi con squadra, righello, sestante ed attrezzi di precisione. Ogni atto che espone a conseguenze inusuali è di per sé un possibile salto nel vuoto, una sortita nell’ignoto, oltre le colonne d’Ercole.

 

Le istituzioni forensi italiane sono il regno dell’impossibilità, il trionfo dell’irragionevolezza. E’ un contesto che il cittadino italiano oggi avverte in qualsiasi ambito, ma che ho dovuto presto imparare a vivere come una febbre endemica, portandomi addosso il senso profondo di un’inadeguatezza, di una diversità, che ho accresciuto, con cui ho dialogato, provando ad usarla come un’arma ed un’ancora, in un mare in tempesta, ingrossato da venti capricciosi e violentissimi.

9 marzo 2015. Sono i giorni in cui il Consiglio Nazionale Forense deve dare un parere sul cosiddetto “regolamento sulla continuità professionale”. Gli avvocati vengono incasellati in una visione da cottimisti dell’impiego. Una visione inaccettabile, che “diminuisce” il libero professionista.

 

 

Mettere in fila le tante lotte, i contrasti, i tradimenti di chi non ha avuto la costanza e la volontà di spingere una posizione di principio fino alle sue naturali conseguenze, sarebbe fatica sprecata. Per l’Ordinamento Forense italiano noi siamo paria, intoccabili, manifestazioni incomprensibili, anomalie, una sorta di piante rampicanti.

Abbiamo dovuto combattere per far capire agli avvocati italiani che il nemico dell’avvocatura era la Cosa Nostra Forense, abbiamo dovuto vincere resistenze che affondano le proprie radici nel conformismo, tipicamente italico, che ci pervade. Gli avvocati italiani amano dire sempre di sì, adorano sentirsi in folta compagnia, rifuggono la minoranza e ripudiano la tenacia nella lotta.

 

20 gennaio 2015. Il silenzio della Cosa Nostra Forense continua…

La radiazione dall’Ordine Forense avrebbe finalmente il sapore di una liberazione. Potrei continuare a dedicarmi alla lotta contro la Cosa Nostra Forense senza dover rispondere di presunte volontà legate all’occupazione di poltrone.  Il senso di questo articolo però è un altro: raccontare un sentimento che non può essere ricondotto ad una violazione deontologica, mettere a parte i colleghi che da anni mi seguono, condividendo o biasimando la mia condotta, di una scelta che non ha niente a che vedere con la deontologia.

Tutta questa vicenda non può essere parcellizzata, giudicata guardando ai frammenti insignificanti di un puzzle, senza preoccuparsi di inserire quel tassello nel disegno generale. Il dileggio della Cosa Nostra Forense, le denunce, le provocazioni tese ad ottenere la reazione repressiva della macchina giudiziaria al servizio del potere istituzionalizzato, sono state effettuate per una precisa strategia politica. Il mio scopo è far emergere una contraddizione enorme che vive l’avvocatura italiana dei nostri tempi. Noi dovremmo essere il corpo sociale che combatte lo strapotere dei gruppi istituzionalizzati, che difende i deboli e i cittadini dalla violenza e dalla sopraffazione che si fa forte della legge e siamo in balia di una violenza repressiva che stritola, compra e spezza ogni tentativo di operare in libertà.

 

Abbiamo smarrito il senso del nostro ruolo, non perché non siamo stati in grado di farci valere nella società, ma perché siamo diventati preda di un’avidità maturata ed espressa da una certa parte dell’avvocatura, che ha guardato a questa condizione come ad un bancomat, perdendo totalmente di vista il senso di affermazione di una realtà migliore, più alta, più degna

Il risultato di questo smarrimento è egregiamente rappresentato dalla crisi che stiamo vivendo e che fatalmente sta contribuendo a svilire l’intero sistema giudiziario italiano. I continui tentativi di riportare in auge la censura preventiva, il controllo delle idee, la psicopolizia che si occupi di definire i confini del pensiero lecito e di quello inaccettabile, sono riversati nella vicenda deontologica che Nuova Avvocatura Democratica sta rappresentando alla società italiana.

Continueremo, certi che chi leggerà, chi verrà dopo di noi, troverà dentro di sé la misura di ciò che in questi anni bui è stato corretto fare.

 

Avv. Salvatore Lucignano

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