NECESSITA’ DELLA SEZIONE DISCIPLINARE DEL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

2 Agosto, 2017 | Autore : |
Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 20/06/2017) 10-07-2017, n. 16993
AVVOCATO

PROCEDIMENTO CIVILE

Fatto Diritto P.Q.M.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5307/2017 proposto da:

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MONZA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO CHIODA;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DISTRETTUALE DI DISCIPLINA DI MILANO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIO SAVINI 7, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA ROMAGNA, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE GIBILISCO, MARIO MINELLA, MARCELLO RAVETTA e ROBERTO ROTA;

– controricorrente –

e contro

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, G.D.W., PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5/2017 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 23/01/2017;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/06/2017 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Roberto Otti per delega dell’avvocato Massimo Chioda.

Svolgimento del processo

1. Con ricorso, al quale resiste con controricorso solo il Consiglio distrettuale di disciplina di Milano (CDD), il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Monza (COA) chiede la cassazione della sentenza del Consiglio nazionale forense (CNF) del 23 gennaio 2017.

Con due motivi, articolati per violazione di norme di diritto processuali ( L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 61, Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, l.p.f) e costituzionali ( artt. 97 e 113 Cost. ), il ricorrente censura l’operato del CNF laddove ha ritenuto non impugnabile l’archiviazione dell’esposto contro l’attuale intimato avv. G.W., immotivatamente deliberata dal CDD il 18 giugno 2015.

Il primo giudice, premessa la natura amministrativa ed endo-procedimentale, dell’archiviazione deliberata ai sensi dell’art. 14 del regolamento 21 febbraio 2014, n. 2 (reg. disc.) e dell’art. 58 l.p.f., rileva che quella impugnabile dinanzi al CNF è solo la decisione susseguente alla formulazione dell’incolpazione, laddove l’art. 61 l.p.f., non diversamente dall’assetto processuale e procedimentale anteriore, individua quale “decisione” solo quella di condanna o di proscioglimento assunta all’esito del procedimento ex art. 59 l.p.f., restando l’archiviazione confinata in una fase istruttoria e pre-procedimentale come sarebbe reso palese dal tenore testuale dell’art. 58 l.p.f..

Il COA ricorrente ritiene, invece che, la possibilità offerta di gravame “per qualsiasi decisione” dall’art. 61 l.p.f. coglie l’intero ventaglio di determinazioni potenzialmente assunte dal CDD, ivi comprese quelle preliminari di archiviazione delle quali, soprattutto se immotivate, dev’essere consentita l’impugnazione, attesa la copertura costituzionale della tutela contro gli atti amministrativi illegittimi.

2. Il CDD contro-ricorrente, per un verso dubita della propria legittimazione processuale passiva quale organo contro-interessato, per un altro solleva questioni circa le regole per la corretta instaurazione del rapporto processuale e delle difese nel giudizio di legittimità, alla luce della nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense.

Sul nucleo centrale del ricorso del COA osserva che l’archiviazione sarebbe di per se stessa non impugnabile, perchè collocata in una fase anteriore al procedimento disciplinare vero e proprio. Inoltre stigmatizza che il COA tace sulla legittima motivazione per relationem della delibera impugnata e sulla correlata archiviazione delle parallele indagini penali.

3. Al CDD il COA replica con memoria, mentre l’avv. G.W. e il CNF non svolgono alcuna attività difensiva.

Motivi della decisione

1. In primo luogo, vanno fugati i dubbi avanzati dal CDD circa la corretta proposizione formale del ricorso e del suo stesso controricorso, alla luce della nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense.

L’art. 6, comma 6, l.p.f. riproduce in sostanza l’art. 56, comma 3, della previgente l.p.f.. Il ricorso va proposto, infatti, entro trenta giorni dalla notifica della decisione, cioè in termine ancora una volta più breve rispetto a quello ordinario, trattandosi di norma speciale (v. Cass. Sez. U, n. 997 del 1964) sorretta da compatibilità costituzionale (v. Cass. Sez. U, n. 6252 del 1989). Gli artt. 36, comma 1, e 37, comma 1, l.p.f. richiamano e conferiscono ulteriore vigenza ai soli artt. 59-65 della previgente l.p.f., ma non agli artt. 66-68 che, dunque, non possono ritenersi ulteriormente in vigore operando, riguardo al ricorso per la cassazione delle sentenze del CNF e per quanto non regolato dalla nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, le ordinarie disposizioni previste dal codice di rito per il giudizio di legittimità.

Ciò comporta anche l’applicabilità del normale termine per il controricorso – e non quello più breve previsto dalla previgente l.p.f. (art. 66) – il che rende le difese del CDD sicuramente tempestive.

Egualmente superato è anche il pregresso riferimento alla sola notifica a mezzo dell’ufficiale giudiziario, stante la peculiarità propria del giudizio di legittimità per il quale la notifica a mezzo di PEC, nella specie adottata dal COA, è valida secondo la regola generale sancita dalla L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3-bis (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali), comunque sopravvenuta anche all’art. 66 della previgente l.p.f..

2. E’, invece, da escludere che il CDD, destinatario dell’odierno ricorso, sia parte necessaria del giudizio di legittimità, atteso che la nozione di parte nel procedimento disciplinare va inquadrata con riferimento agli interessi concretamente tutelati.

La riforma professionale forense del 2012 devolve il potere disciplinare ai CDD composto da membri eletti su base capitaria e democratica (art. 50 l.p.f.) e costituito presso il COA distrettuale (art. 1 reg. disc.). Il CDD, insediato col sistema elettorale introdotto dal regolamento 31 gennaio 2014 , n.1 (reg. elett.), agisce in piena indipendenza di giudizio e autonomia organizzativa e operativa (art. 2 reg. disc.), così costituendo un organo avente compiti suoi propri, ma non contro-portatore di legittimazione processuale. Infatti il CDD è attivato dal COA che riceve un esposto, una denuncia o una notifica di rilievo disciplinare (art. 11 reg. disc.). Indi, si avvia la fase dell’istruttoria preliminare (capo 3, reg. disc.), detta anche fase istruttoria “pre-procedimentale” (art. 58 l.p.f). Il presidente del CDD può chiedere l’archiviazione de plano per manifesta infondatezza della notizia d’illecito disciplinare (art. 58 l.p.f.; art. 14 reg. disc.) oppure designare il consigliere istruttore, che, nel termine di sei mesi, deve chiedere l’archiviazione o l’approvazione del capo d’incolpazione con citazione a giudizio dell’incolpato (artt. 16 e 18 reg. disc.). In quest’ultimo caso si avvia la fase dibattimentale e di discussione (capo 5, reg. disc.), cui segue la “fase decisoria” (capo 6, reg. disc.) con esito che, in disparte alcune ipotesi particolari, è normalmente “di esservi luogo a provvedimento disciplinare” ovvero “di irrogazione di una delle (…) sanzioni disciplinari” (art. 52 l.p.f.).

Degli interessi in gioco e giuridicamente tutelati sono indici rivelatori i poteri d’impugnazione (art. 61 l.p.f.; art. 33 reg. disc.) riconosciuti all’incolpato (a tutela del suo status), al COA (per la vigilanza sull’ordine locale e la tutela dei relativi iscritti), al P.M. e al P.G. in sede (a garanzia del pubblico interesse).

Dunque, il CDD, quale organo distrettuale di disciplina, ha una funzione sicuramente amministrativa ma di natura giustiziale, anche se non giurisdizionale, caratterizzata da elementi di terzietà valorizzati sia dal peculiare sistema elettorale, sia dalle specifiche garanzie d’incompatibilità, astensione e ricusazione (art. 3 reg. elett.; artt. 6 – 9 reg. disc.). Il CDD, pena la perdita della sua terzietà, non è e non può essere in lite con l’iscritto all’ordine ma gli è devoluta dalla legge l’applicazione delle norme disciplinari al caso concreto e con imparzialità (v. infra p.4). Del resto il CDD, diversamente dal COA, non ha alcun autonomo potere di sorveglianza sugli iscritti e, dunque, non è portatore di alcun interesse ad agire/resistere in giudizio.

E’ questo, del resto, il senso ultimo della separazione tra il COA, quale organo di vigilanza deontologica e di esecuzione delle sanzioni, e il CDD, quale organo titolare del potere disciplinare. Si tratta di una alterità, che, come sarà meglio precisato (v. infra p.4), trova il suo fondamento nell’intento riformatore complessivo in materia di ordini professionali laddove sin dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3, comma 5, lett. f), si afferma che “gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l’istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina” e che “la carica di consigliere dell’ordine territoriale (…) è incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali”.

Da qui deriva l’essenzialità di un livello maggiore di neutralità più volte sottolineata nei lavori di preparatori della nuova l.p.f. (v. atti Senato, dossier n. 99, d.d.l. A.S. 711 e A.S. 1198). Il che risponde a un modulo di neutralità già presente in varie tipologie conosciute di consigli di disciplina, persino nell’ambito dei rapporti d’impiego (es. R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 54, sul personale autoferrotranviario). A marcare la diversità dell’attuale assetto disciplinare e processuale è proprio l’alterità organica tra il CDD, detentore del potere disciplinare, e il COA, portatore dell’interesse collettivo dell’Ordine locale, laddove nella previgente l.p.f. era il COA stesso a sommare i due ruoli con i relativi riflessi processuali (v. Cass. Sez. U, n. 2077 del 1994).

3. Sempre sul piano della legitimatio a causam, essa va naturalmente negata pure riguardo CNF (anch’esso destinatario dell’odierno ricorso), laddove, in materia di giustizia disciplinare, è un giudice speciale che – istituito con il D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382 – è tuttora legittimamente operante giusta la previsione della sesta disposizione transitoria della Costituzione. Ne consegue che la disciplina della funzione giurisdizionale del CNF, quale giudice terzo, è coperta dall’art. 108, secondo comma, e dall’ art. 111 Cost. , comma 2, (v. Cass. Sez. U, n. 12064 del 2014).

Da ciò deriva, l’ulteriore corollario che il corretto esercizio della funzione di giurisdizione affidata al suddetto organo in materia deontologica, con riguardo all’indipendenza del giudice ed all’imparzialità dei giudizi (v. Corte Cost. n. 284 del 1986, n. 128 del 1974, n. 73 del 1970), esclude in radice che esso possa essere evocato dinanzi alle sezioni unite quale parte nei giudizi di legittimità sui ricorsi per cassazione proposti avverso le sue sentenze.

4. Tanto premesso, queste sezioni unite ritengono che, nel resto, il ricorso del COA sia fondato. Come si è visto nel p.2, le decisioni del CDD sono impugnabili dall’incolpato in caso di affermazione di responsabilità (art. 61 l.p.f.) ovvero per ogni caso dal COA, dal P.M. e dal P.G. in sede. Analogamente si esprime il regolamento (art. 33).

Dalla struttura del nuovo procedimento disciplinare, innovato dalla riforma del 2012, non emerge la previsione dell’impugnazione da parte del COA come ristretta a un ambito decisorio legato alle sole deliberazioni di proscioglimento o di condanna. E’ vero che, nella legge professionale riformata, l’archiviazione è collocata nella fase dell’istruttoria pre-procedimentale (art. 58), regolata dal capo I sulle “norme generali”, mentre le impugnazioni delle decisioni del CDD sono collocate nel capo 2 sul “procedimento disciplinare”. Però da ciò non deriva che l’art. 61 l.p.f., quando parla d’impugnazione delle decisioni del CDD, debba riferirsi alle sole decisioni previste dall’art. 52 l.p.f., ovverosia a quelle di proscioglimento e di condanna, giammai all’archiviazione pre-procedimentale prevista dall’art. 58 l.p.f..

Le sezioni unite hanno escluso che l’atto di apertura del procedimento costituisca decisione in senso stretto, ritenendola quindi non impugnabile (Cass. Sez. U, n. 5199 del 2016). Ma si tratta di approdo ermeneutico non estensibile all’opposto provvedimento di archiviazione. Si è ritenuto, infatti, che gli atti d’impulso endo/preprocedimentali siano privi di rilevanza esterna e, dunque, scevri dalla necessità di salvaguardare il principio costituzionale d’impugnabilità dinanzi al giudice naturale precostituito per legge ( artt. 24, 111 e 113 Cost. ), non essendovi spazio per l’intervento giurisdizionale del CNF, in prima battuta, e delle sezioni unite della Corte, in sede di legittimità, ovvero del giudice amministrativo (Cass. Sez. U, n. 16884 del 2013).

Invece l’intervento dell’organo amministrativo neutrale nella fase dell’archiviazione pre-procedimentale, laddove fa abortire sul nascere la vigilanza deontologica degli ordini locali, risponde sì a ragionevole rispetto dell’art. 97 Cost. quale scelta legislativa semplificante e diretta a prevenire inutili aggravi in una fase del tutto prodromica, ma non può essere intesa quale incontrollabile negazione dell’agire in materia disciplinare, laddove v’è un chiaro interesse del COA alla salvaguardia degli interessi collettivi degli iscritti nell’ordine locale alla salvaguardia della deontologia forense. Ed è appunto l’alterità organica tra il CDD, detentore del potere disciplinare (art. 50, comma 1, l.p.f.) e il COA, portatore dell’interesse collettivo dell’ordine locale (art. 50, comma 4, l.p.f.), che differenzia nettamente l’assetto attuale da quello della vecchia disciplina dell’ordinamento della professione forense, laddove era il COA stesso a sommare i due ruoli. Mentre la fase che precedeva l’iniziativa disciplinare vera e propria era attività caratterizzata dalla più ampia discrezionalità; indi, il provvedimento conclusivo, sia nel senso dell’assunzione, sia in quello della non assunzione dell’iniziativa, si poneva sempre come atto di autodeterminazione dell’organo deputato e, dunque, come atto non impugnabile (es. Proc. Gen. Cass., ud. CNF, 16 luglio 1998).

Nella struttura logica e giuridica della nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, indipendentemente dal nomen iuris dato ai singoli istituti con frequenti imprecisioni terminologiche, l’archiviazione da parte del CDD si pone sul medesimo piano logico della decisione di proscioglimento potendo essere adottata: a) in via immediata, dal CDD (riunito in seduta con la presenza e la maggioranza di cui all’art. 14 reg. disc.), su richiesta de plano del suo presidente per la manifesta infondatezza della notizia d’illecito disciplinare (art. 58 l.p.f.); b) in via pre-procedimentale, dalla sezione del CDD competente per l’istruttoria disciplinare, sulle richieste finali del consigliere istruttore all’esito dell’inchiesta preliminare (art. 58 l.p.f.); c) in qualsiasi fase del procedimento, dalla sezione competente del CDD, ove sia comunque emersa la manifesta infondatezza dell’addebito (art. 19 reg. disc., mod. delib. 26 giugno 2015); d) in ogni caso, per intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare (art. 14 reg. disc., mod. delib. 24 marzo 2017).

Dunque, l’archiviazione disciplinare, nella polisensa accezione recepita dalla nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense (anche regolamentare), assume quelle connotazioni tipicamente “meritali” di un obbligo d’immediata declaratoria di cause di non punibilità che vanno dall’infondatezza della notizia d’illecito ovvero dell’addebito, alla prescrizione dell’azione disciplinare, e paiono non dissimili sul piano logico dalla formula assolutoria “di non esservi luogo a provvedimento disciplinare” che è tipizzata dall’art. 52, lett. a), l.p.f. per quella decisione amministrativa finale che, erroneamente denominata “sentenza” nell’art. 61 l.p.f. e più correttamente “provvedimento” o “decisione” negli artt. 59 e 62 l.p.f., è adottata all’esito del completo dispiegarsi del contraddittorio dibattimentale.

Ciò spiega la ragione per la quale, sia pure con infelice collocazione all’interno della struttura della nuova disciplina, l’art. 61 l.p.f. stabilisce, senza eccezione alcuna, che “avverso le decisioni del consiglio distrettuale di disciplina è ammesso ricorso (…) avanti ad apposita sezione disciplinare del CNF (…) per ogni decisione, da parte del consiglio dell’ordine (…)”, il che risponde anche ai precetti costituzionali di tutela giudiziale di diritti e interessi, a mente degli artt. 24, 111 e 113 Cost..

5. La decisione del CNF che, nella specie, ha ritenuto radicalmente inammissibile l’impugnazione da parte del COA del provvedimento di archiviazione del CDD, si discosta, dunque, dal principio di diritto che qui di seguito si formula: “Avverso i provvedimenti del Consiglio distrettuale di disciplina e per ogni decisione, ivi compresa l’archiviazione, è ammesso ricorso da parte del Consiglio dell’ordine presso cui l’avvocato è iscritto avanti ad apposita sezione disciplinare del Consiglio nazionale forense”.

Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al CNF che, in diversa composizione, dovrà attenersi al principio di diritto sopra enunciato e regolare le spese anche del giudizio di legittimità. E’, quindi, devoluto al giudice di rinvio l’esame delle questioni sollevate dal COA circa l’asserita inosservanza dal parte del CDD dei vincoli motivazionali per la pronunzia di archiviazione (art. 58 I.p.f.; art. 19 reg. disc.).

Invece, dall’inammissibilità del ricorso per cassazione nei confronti del CNF (p.3) e del CDD (p.2) per loro difetto di legitimatio a causam, non derivano condanne in punto di spese, atteso che il primo non è costituito nè spiega difese, mentre riguardo al secondo l’assoluta novità e l’assenza di giurisprudenza legittimano la pronunzia di compensazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti dell’intimato Consiglio nazionale forense. Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del controricorrente Consiglio distrettuale di disciplina; compensa integralmente le relative spese processuali. Accoglie nel resto il ricorso del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Monza nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia al Consiglio nazionale forense, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2017

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